DALLA RIVISTA ON
LINE www.ateatro.it (n.72), agosto 2004
I VIAGGI DI GULLIVER
Un progetto teatrale
e terapeutico
Il
15 giugno è andato in scena al Teatro Cometa Off di Roma, con successo
di pubblico e di critica (M.D’Amico, G.Capitta), lo spettacolo
I viaggi di Gulliver liberamente
tratto dal romanzo di Jonathan Swift, con regia
di Alessandra Panelli e adattamento drammaturgico di Andrea Balzola,
in scena un gruppo misto (A.Alessi, L.Angelilli, P.Bellardini, V.Bonanni,
C.Brazzi, F.Carlevaro, C.Castracane, S.Diaz, L.Di Iorio, O.Graziano,
W.Zennaro) di giovani attori professionisti e attori non professionisti
che hanno frequentato tre anni di laboratori presso il Centro Igiene
Mentale Asl del quartiere Laurentino di Roma, gestiti dalla Compagnia
Teatrale integrata “Diverse Abilità”. Scenografie realizzate da Antonio
Grieco, progettazione del suono di Hubert Westkemper e disegno luci di
Roberto De Rubis. Lo spettacolo è dedicato a Igor Cossetto,
prematuramente scomparso, autore dei video dello spettacolo (insieme a
Lorenzo Baruffi) e collaboratore del progetto artistico. I tre temi
chiave del progetto drammaturgico e registico sono l’incontro con il
diverso (i lillipuziani, i giganti, i “folli” inventori), il
viaggio come distacco dalle convenzioni e dall’automatismo delle
abitudini, e la trasformazione culturale e spirituale che
l’esperienza di spaesamento e di ricerca dell’ignoto induce. Rispetto
all’opera di Swift, più che la satira contro l’arrogante civiltà
occidentale, sono i temi della relatività (grande/piccolo;
vicino/lontano) e del diverso che si manifesta come molteplicità e come
specchio della nostra identità, che interessano gli autori e fanno da
timone per il viaggio dello spettacolo, attraverso una scelta
inevitabilmente radicale di brevi frammenti degli episodi e dei
personaggi della ricchissima, complessa e straordinariamente attuale
narrazione swiftiana (troppo spesso ingiustamente relegata nella
letteratura infantile). La scelta registica di Alessandra Panelli è
stata di creare un serrato ritmo narrativo, spogliando e semplificando
il più possibile l’azione, che diventa protagonista e si integra con i
rumori e le voci sempre off del protagonista e degli altri personaggi,
con un uso efficace e originale delle marionette (lillipuziane e
giganti) e di sequenze video che rimandano al quartiere Laurentino
(visto con occhi gulliveriani), a frammenti dei laboratori e all’idea
del viaggio come esperienza che unisce reale ed immaginario.
Per entrare nelle motivazioni e nel processo
creativo di questo lavoro, atipico nel nostro panorama teatrale e frutto
di un generoso impegno pluriennale nelle strutture pubbliche di Igiene
Mentale, pubblichiamo due interventi, il primo della regista Alessandra
Panelli, che racconta sia la genesi dei laboratori e del progetto sia le
scelte registiche, e una breve nota di Andrea Balzola sulle differenti
fasi e scelte dell’adattamento drammaturgico del romanzo di Swift.
La redazione di Ateatro
COORDINATE DI VIAGGIO
Di Alessandra Panelli
Come nasce la
collaborazione con il Cim
Il Cim (Centro Igiene mentale) intendeva
offrire ai suoi ospiti un’alternativa alle solite attività proposte
(calcetto, ceramica, ecc.), a seguito di un progetto europeo “Horizon”
di tre anni. Nell’ultimo anno, che prevedeva la loro partecipazione e
una serie di lezioni tenute da me con alcuni loro utenti, il Cim aveva
riscontrato come questo tipo di attività incuriosisse molto i suoi
pazienti e fosse ricca di opportunità anche terapeutiche. Si decise
perciò di dare seguito all’iniziativa proseguendo il lavoro nella loro
sede. ”Diverse Abilità” (nel frattempo divenuta Compagnia teatrale
integrata – cooperativa e associazione culturale) scelse il laboratorio
di “Danza/Movimento Terapia” condotto da Anna Di Quirico e il mio di
“Formazione dell’attore” come i più adatti, date le ristrettezze
logistiche ed economiche del Cim, e si pensò di dare al progetto la
cadenza di due incontri settimanali, di due ore l’uno, per tre anni.
Laboratorio
teatrale e lavoro terapeutico. Il passaggio dai laboratori allo
spettacolo
“Diverse Abilità” fin dall’inizio della sua
attività si è posta come obbiettivi quelli di lavorare, attraverso lo
strumento laboratoriale, sulla relazione tra le persone,
l’individuazione di potenzialità espressive nascoste o bloccate, e sulla
crescita psicofisica dei suoi attori. Questi obbiettivi, per altro
necessari da raggiungere anche per attori in formazione cosiddetti
“normali”, costituiscono anche un obbiettivo terapeutico. Insegno
recitazione al Centro Sperimentale di Cinematografia, applicando gli
stessi esercizi. Il nostro modo di procedere prevede inoltre il
collegamento con il personale medico e il procedere del lavoro è in
continuo ascolto delle piccole e grandi difficoltà di ognuno. La parte
artistica e quella terapeutica attivano a loro volta una sorta di
integrazione. A mio avviso, perché il processo di integrazione possa
considerarsi tale a tutti gli effetti, quando un gruppo è maturo sia
psicologicamente che artisticamente, è necessario un momento di
verifica: un incontro con il mondo esterno, con il mondo “reale” del
lavoro che permette di lasciare il contesto protetto del laboratorio
interno a favore di una visibilità più aperta e ampia. Questa è
l’occasione per confermare la forza sintonica del gruppo, dei vari
operatori, e monitorare contemporaneamente la coscienza del pubblico. E’
l’occasione per vedere come la parte teorica di un lavoro e di una
relazione fra persone diviene pratica.
La scelta del romanzo di
Swift
Il romanzo di Swift a un certo punto del
percorso laboratoriale si è rivelato molto utile per il rafforzamento
del nostro lavoro. I temi del viaggio intesi come impulso alla
scoperta-presa di coscienza e come relatività dei punti di vista, sono
serviti da canovaccio.
IL VIAGGIO. Il viaggio è di per se un
percorso esperienziale, prevede un prima e un dopo che lascia aperta la
strada del cambiamento. Il viaggio più importante che noi facciamo è
quello della nostra vita, ma durante il cammino, consapevoli o
inconsapevoli, ne intraprendiamo molti altri. Ogni volta che scegliamo
di seguire una strada, che sia essa affettiva o professionale, ci
mettiamo di nuovo in viaggio. Sappiamo da dove partiamo ma non sappiamo
quando, come e se arriveremo alla meta. Alle volte il viaggio ci
spiazza, ci sorprende per bellezza o dolore. Esistono viaggi di piacere,
d’avventura, ai limiti del possibile così come le fughe da realtà troppo
strette e viaggi che non sceglieremmo mai, come la malattia.
IL LIBRO. Ricco di ironia sul potere e i
politici dell’epoca. Gulliver non riesce a sostenere una vita familiare
tradizionale e coglie ogni occasione per rimettersi in viaggio. Il mare
diventa il suo elemento mediatore. La sua ironia ed intelligenza gli
fanno da filtro e lo rendono emotivamente immune da sconvolgimenti
interiori anche durante gli incontri più inusuali. Ogni approdo su nuova
isola è preceduto da una tempesta come se, metaforicamente, per poter
scoprire qualcosa di nuovo fosse costretto ad abbandonare le sue salde
certezze e porsi nudo difronte all’ignoto. Ogni viaggio è un incontro e
un confronto con la diversità fisica e culturale di popoli nuovi.
Durante ogni viaggio, Gulliver è costretto a mettere in discussione le
regole della sua società, la morale e i pregiudizi ai fini della sua
stessa sopravvivenza, educandolo alla tolleranza ed al rispetto.
Gulliver è lo spettatore stesso che intraprende un viaggio difficile e
a tratti sgradevole o affascinante fra corpi e voci espressivi e
dissonanti, suadenti e respingenti.
Modalità e difficoltà nel rapporto tra
progetto teatrale e psicoterapia.
Le difficoltà in questo lavoro sono molte
così come le ricchezze. I Cim non sono teatri e i medici non sono
teatranti, così gli insegnanti di arti varie e i registi non sono
psicoterapeuti. Esistono luoghi in cui le due realtà si fondono dando
vita alla Teatro-Terapia, ma non è il nostro caso. La convivevnza dei
reciproci mestieri è una grande ricchezza, l’ascolto reciproco delle
esigenze, la fiducia di base, la collaborazione, sono fondamentali e se
tutto ciò avviene il lavoro di ognuno può arricchirsi immensamente.
Importante è ricordare sempre che i nostri attori prima che “pazienti”
sono persone, e nonostante siano seguiti, guidati e “curati”, non
appartengono a nessuno se non a loro stessi. Sono persone che hanno
vissuto o stanno vivendo un momento difficile che esige rispetto. Questo
vale per il teatrante che in nome della sua arte, specie nella fase
imminente lo spettacolo, può rischiare di concentrarsi troppo su di sé,
ma anche per lo staff medico che, specie nell’andata in scena, può
faticare a vedere il suo pupillo come un professionista a tutti gli
effetti. Partendo da questo presupposto e modificando eventualmente il
piano di lavoro, in base alle esigenze del gruppo, è possibile vedere il
raggiungimento di una meta condivisa. Il linguaggio espressivo, la
chiave di racconto è così in continuo mutamento e lo stato d’animo
migliore è quello di considerare la difficoltà riscontrata in corso
d’opera non come un muro insormontabile ma come una prerogativa
caratterizzante. Spesso si parte da un’idea drammaturgica più
articolata, ricca di dettagli e colpi di scena, che però risulta
difficile per alcuni e si scopre che la semplicità richiesta perché
possa essere compresa da tutti è la chiave più interessante, quella che
permette la sintesi, la visione profonda delle cose.
Note di regia
Lavorare con persone che non hanno come
scopo quello di diventare attori è davvero molto stimolante, perché sono
in partenza già aboliti molti luoghi comuni. Il desiderio di riuscita di
un’operazione ha perciò meno il sapore di un bisogno narcisistico e
individuale di successo. Il gruppo di Gulliver aveva il problema
opposto, temeva il pubblico, il confronto, il giudizio. Alcuni,
provenienti da passate esperienze evidentemente mal gestite, avevano
paura a parlare in pubblico, paura di scordare la parte, paura di non
capire e di sbagliare. Siamo quindi partiti dal presupposto che ogni
gesto o azione dovessero essere condivisi e compresi da tutti.
Personalmente avevo un’idea dello spettacolo finale legata anche a
concetti difficili quali: l’equilibrio e il bilanciamento come metafora
delle relazioni umane, che possono nel loro eventuale sbilanciamento
equivalere ad un naufragio, l’incontro con il diverso che ci sorprende e
ci costringe a relativizzare il nostro usuale punto di vista, il gigante
che ci sovrasta che non è necessariamente quello delle fiabe ma alle
volte è parte del mondo in cui viviamo o delle cose che ci succedono,
come il nostro quartiere opprimente o il malessere che affrontiamo. Ogni
esercizio durante il laboratorio e ogni scena poi montata per lo
spettacolo sono state discusse con il gruppo, alle volte ho dovuto
“pretendere” fiducia quando la strada sembrava tortuosa, ma ho sempre
cercato un percorso per arrivare insieme alle cose. Trovo questa strada
la più interessante da percorrere. Ho sentito il bisogno di usare il
suono, il video, le luci e la scena attuando anche con questi elementi
narrativi un gioco d’integrazione. I suoni e le immagini, più che
raccontare qualcosa e vivere di vita propria, volevano essere un
sottofondo all’azione scenica, una sorta di suggerimento - agendo quasi
a livello subliminale - in grado di indirizzare il pubblico verso una
percezione più istintiva della messinscena. Era una grande scommessa, in
quanto l’insieme poteva rischiare di risultare scollegato o dissonante.
Credo che alla fine anche questi elementi apparentemente più legati al
mondo tecnologico, debitamente “sporcati” e resi imperfetti, come la
parte più interessante di noi, nelle mani di collaboratori sensibili
abbiano contribuito all’amalgama del tutto.
DIARIO GULLIVERIANO DI BORDO
Note sull’adattamento drammaturgico del
romanzo di Swift
Di Andrea Balzola
La mia avventura gulliveriana è cominciata
alla fine del 2002, quando Alessandra Panelli, Anna Di Quirico e Ivana
Conte, anime della Compagnia Diverse Abilità mi hanno parlato dei
laboratori teatrali creati e gestiti nell’ambito di un Centro d’igiene
mentale della Asl di Roma (al Laurentino) e di una prova non aperta al
pubblico realizzata nel 2002 ispirata a un frammento dei Viaggi di
Gulliver e senza testo. La loro idea era di trasformare, al termine del
primo ciclo triennale di laboratori, con il consenso e la collaborazione
terapeutica degli operatori psichiatrici del Cim, questo primo
rudimentale abbozzo teatrale in uno spettacolo vero e proprio, da
presentare al pubblico. Per questo mi richiedevano di proporre una
chiave di lettura drammaturgica del testo e di elaborarne una versione
estremamente ridotta e semplificata da mettere alla prova durante i
laboratori e poi da finalizzare allo spettacolo. Per prima cosa mi hanno
fatto conoscere la realtà di quei laboratori, attraverso la visione di
alcuni filmati e soprattutto mediante la partecipazione diretta – come
spettatore - ai due laboratori gestiti da Alessandra Panelli
(“Formazione dell’attore”) e Anna Di Quirico (“Danza e Movimento
Terapia”). Parallelamente, in una serie di incontri di lavoro, si sono
identificate le delicate condizioni di lavoro (il disagio e le
problematiche psichiche dei partecipanti, l’impatto emotivo con un
eventuale pubblico esterno, le indicazioni degli psicoterapeuti, la
scarsità di tempo e di mezzi di sostegno, la povertà del budget, ecc.)
Il mio primo approccio è stato quello di
ricavare dal testo di Gulliver una serie di frasi e di parole chiave
(soprattutto legate al tema del viaggio come bisogno ed esperienza di
cambiamento, come occasione di incontro/scontro con il diverso e
l’ignoto e quindi come occasione di ridefinizione della propria
identità) da sottopporre alla riflessione del gruppo all’interno dei
laboratori. Volevamo scoprire cosa evocavano in ognuno quelle parole o
quelle frasi, Alessandra e Anna poi stimolavano gli elementi del gruppo
a somatizzare, mediante movimenti, gesti, vocalizzazioni, quelle
suggestioni. Il senso di tutto questo era di fare in modo che il viaggio
di Gulliver non fosse qualcosa di esteriore che si sovrapponeva
all’esperienza soggettiva, ma che fosse usato come metafora per
interpretare, comunicare, liberare i propri percorsi emotivi ed
esistenziali. Partendo da questa dinamica psico-fisica di
interiorizzazione e dall’abbozzo di un episodio gulliveriano (quello del
disequilibrio e del naufragio) già sperimentato l’anno precedente, si
sono gradualmente introdotti nuovi episodi. Il mio metodo di riscrittura
è stato quello di trovare primariamente un’idea scenica come sintesi
metaforica e metamorfica del testo (come ad esempio la trasformazione
iniziale del lenzuolo sul letto di Gulliver nella vela della sua
zattera).
All’inizio il mio progetto drammaturgico
comprendeva quattro parti (corrrispondenti alle quattro parti del libro:
il paese dei lillipuziani, il paese dei giganti, l’isola sospesa e
l’accademia dei folli inventori, il paese dei cavalli sapiens), un
prologo e un epilogo. Collocando la vicenda in una dimensione
atemporale, ed evitando sia i riferimenti storici del romanzo sia
eventuali riferimenti alla nostra attualità. La forza corrosiva della
satira swiftiana non è infatti tanto diretta a una categoria di uomini e
di politici (anche se nell’Inghilterra dell’epoca l’avevano considerata
tale perseguitando lo scrittore), ma alle ipocrisie e alle meschinità
dell’essere umano, capace di produrre immani tragedie come i genocidi,
le guerre civili, le persecuzioni e gli stermini razziali. Era questa
universalità della satira swiftiana, sempre attuale, che ci interessava
cogliere. Così, ad esempio, il tema dell’intolleranza verso il diverso o
il vicino che conduceva alla guerra faceva parte della prima versione
teatrale dell’episodio dei lillipuziani, oppure il tema
dell’incomunicabilità delle lingue che diventava l’occasione di una
discriminazione dello straniero. Poi la scelta di eliminare tutto il
dialogo in scena e limitare il testo alle registrazioni, conseguente ai
problemi emotivi degli attori , spaventati di dover ricordare le battute
e di doverle ripetere in pubblico, ci ha indotto a una drastica
riduzione dei dialoghi. Anche la complessità della struttura in quattro
parti è stata ridimensionata sia riducendo le scene in ogni parte sia
abolendo la quarta parte dell’incontro di Gulliver con i cavalli
sapiens. Il testo è quindi diventato soprattutto diario di Gulliver,
letto sia dalla voce del personaggio sia da altre voci, a testimonianza
che ciascuno degli attori era una parte di Gulliver. La parola si fa
contrappunto dell’azione, vera protagonista dello spettacolo,
interagendo con una texture sonora sapientemente elaborata da Hubert
Westkemper. Il lavoro registico di Alessandra ha trovato
nell’integrazione tra i diversi linguaggi, nella semplicità e nel ritmo
le chiavi risolutive per fare emergere con nitidezza il complesso
percorso laboratoriale e drammaturgico che era stato intrapreso,
valorizzando l’intesa e la coesione espressiva del gruppo. Un elemento
caratterizzante di questa esperienza – e la sua sfida - è stato proprio
quello di trasformare i molteplici limiti oggettivi e soggettivi in una
risorsa creativa, in uno stimolo a lavorare non per rinuncia ma per
sottrazione consapevole, cercando l’essenza della relazione tra
soggetti-attori e nucleo simbolico del testo. Una sfida, credo, vinta,
grazie a un impegno umano prima ancora che “teatrale”. Come diceva Jung
: “Gli atti semplici rendono l’uomo semplice. E quanto è difficile
essere semplici.”
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