- CINEMA e VIDEO works ( filmati - sceneggiature - soggetti - sinossi)

CINEMA

CATALOGO CINEMA E VIDEO A TORINO (schede film), Città di Torino 1987-88
Paura (corto fiction) 1979
Gli iconoclasti (corto fiction) 1980
Il teatro di strada a Parigi, Rai 2 Mixer 1982
Il pianeta Ljarna, Rai 2 Mixer 1983
Berlino: dai punk ai verdi, Rai 2 Mixer 1983
Scandinavia: i guerrieri della pace, Ecomedia Skandinavia 1983
Videomosaico: Operazione libretti d’artista, (videorivista d’arte)Mosaico 1987

 
Gino Gorza "Videoritratto in due stanze"
 

VIDEO RONCONI, Università Torino - Crut 1989-90
Luca Ronconi: per un teatro televisivo? 1989
Strano interludio di Ronconi-O’Neill 1990

 

MELUSINA VIDEO, Bagar-Coop.D.I.R.E. 1994

www.mclink.it/mclink/sordi/video.htm

 

CORTOMETRAGGI (sinossi)
Palloncino battuto dal vento(con R.A.Barbaro) 1996
Timoteo (con R.A.Barbaro) 1998
L’incontro sul treno (con R.A.Barbaro) 1999

 

LUNGOMETRAGGI (sinossi)

TERRITORI D’OMBRA (scheda film), Essebicinematografica 2001

LOOK RIGHT LOOK LEFT (1999) FilmMaster-Venerdì srl 2004

L’OSPITE SEGRETO (2001), Essebicinematografica 2003

Soggetti lungometraggi non realizzati 2001

 

L’OSPITE SEGRETO

Soggetto e sceneggiatura di Andrea Balzola e Rocco Aldemaro Barbaro

liberamente ispirato al racconto “Il clandestino” di Joseph Conrad

regia di Paolo Modugno, Produzione Essebicinematografica, Roma

 

SI  GIRA!

Nota introduttiva  alla sceneggiatura di Andrea Balzola e Nico Garrone,

liberamente tratta da “I quaderni di Serafino Gubbio operatore” di Luigi Pirandello  (DEPOSITO SIAE 2004)

 

 

 

- CINEMA e VIDEO works ( filmati - sceneggiature - soggetti - sinossi)
 
GINO GORZA "Videoritratto in due stanze"



L'OSPITE SEGRETO

NOTA SULLA REALIZZAZIONE DEL FILM

“L’OSPITE SEGRETO”

soggetto e sceneggiatura di Andrea Balzola e Rocco Aldemaro Barbaro

liberamente ispirato al racconto “Il clandestino” di Joseph Conrad

 regia di Paolo Modugno, Produzione Essebicinematografica, Roma

 

La sceneggiatura che segue è quella originale scritta nel 2001 e proposta alla produzione, versione nella quale si riconoscono effettivamente gli autori.

Questa versione, approvata in un primo momento dal regista e dalla produzione, è stata progressivamente rimaneggiata, inizialmente con l’intervento diretto degli autori su richiesta della produzione (come molto spesso accade nel cinema) e infine completamente stravolta dal regista Modugno che ne ha cambiato ambientazioni, ne ha tagliato e/o sostituito in modo massiccio dialoghi e scene, ha conferito ai personaggi caratteri diversi dalle intenzioni degli autori, aggiungendo una colonna sonora e un finale che snaturano stile e idee del progetto originario,  realizzando non solo un film mediocre ma nel quale io in qualità di autore non mi riconosco per nulla, tant’è vero che non ho partecipato alla promozione del film.

E’ vero che nel mondo del cinema, soprattutto italiano, gli sceneggiatori (tranne forse i più noti e pagati) non hanno mai l’ultima parola e sono sempre costretti a numerose modifiche anche senza esserne convinti, fa parte delle regole implicite e del mestiere, in molti casi il rapporto creativo tra regista e sceneggiatore arricchisce il progetto, ma in questo caso si è passato ogni limite e il prodotto finale fa letteralmente a brandelli la sceneggiatura originale.

 Invito i lettori che ne abbiano voglia a fare il confronto tra la sceneggiatura e il film (ahimè distribuito anche in home video), inviandomi poi via e-mail la loro valutazione.

Andrea Balzola

Scarica la sceneggiatura


SI GIRA !

SI  GIRA!

 

Nota introduttiva  alla sceneggiatura di Andrea Balzola e Nico Garrone,

liberamente tratta da “I quaderni di Serafino Gubbio operatore” di Luigi Pirandello  (DEPOSITO SIAE 2004)

 

Luigi Pirandello pubblica il suo romanzo Si gira, a puntate,  nel 1915 (sarà poi riedito nel 1925 con il nuovo titolo I quaderni di Serafino Gubbio operatore). Nel 1918 lo propone al regista Anton Giulio Bragaglia, come soggetto cinematografico, con la chiara e troppo precoce intuizione di farne un film sul cinema (così come in teatro avrebbe poi realizzato la trilogia del “teatro nel teatro”). Ma non se ne fa nulla.

 Da allora questa sua idea non si è mai realizzata, nonostante la recente rivalutazione di questo romanzo meno noto del  premio Nobel siciliano. Il libro è scritto sotto forma di diario del protagonista Serafino Gubbio, un operatore cinematografico nell’epoca del muto, che osserva e registra ogni cosa come fosse lui stesso una macchina da presa. Sotto il suo sguardo si alternano la finzione patetica o comica dei set cinematografici del muto e le vicende personali dei personaggi che ruotano attorno a questo mondo, che Pirandello ambienta in maniera visionaria tra Roma, Napoli, Capri e la Costiera Amalfitana.

Il plot del romanzo (considerato un pretesto dallo stesso Pirandello) è quello tipico dei feuilleton letterari di fine Ottocento, ispiratori di molti  soggetti cinematografici dell’epoca del muto:  un giovane e ingenuo artista s’innamora di una donna fatale (un’attrice), scopre la rivalità del suo migliore amico e il tradimento di lei (forse nemmeno consumato), e si suicida. L’amico, rovinato dal senso di colpa, cerca la vendetta verso la donna, a costo della propria morte. Il dramma si consuma negli studi cinematografici della Kosmograph, dove Serafino lavora come operatore. La scena madre finale sembra un’anticipazione dell’attuale Reality-TV: Serafino gira una pericolosa scena dentro una gabbia dove l’amico del suicida deve sparare a una vera tigre, ma invece di uccidere l’animale colpisce a morte l’attrice che sta assistendo alla scena e si lascia sbranare davanti alla macchina da presa. Serafino gira tutta la scena, ma da quel momento non parlerà più.

 

Nella sceneggiatura per la versione cinematografica abbiamo attualizzato il racconto, mantenendo la struttura “a quaderni” (i sette capitoli del diario di Serafino), rendendo ancora più esplicito lo spirito pirandelliano della finzione dentro la finzione:

c’è un film dentro il film, in attuali studi di posa (Cinecittà) si gira un film fatto alla maniera del cinema muto, in bianco e nero con  le didascalie, che rievoca il mondo del cinema d’inizio secolo, visto però con l’ironia di oggi (ad es. una delle scene di questo film è la ricostruzione ironica di un set dell’epoca, con l’attrice che sbaglia tutto tra la disperazione del regista e i movimenti frenetici della troupe);

 

i personaggi sono come attori che recitano (con i costumi dell’epoca) anche al di fuori del set (ad es. l’amico del suicida corre in mezzo alla folla e prende un treno nella stazione attuale di Napoli vestito lui solo con un abito primo novecento), in ambientazioni finte, in gran parte ricostruite negli studi cinematografici (Cinecittà) o su una scena teatrale (ad es. una finta osteria romana). Anche quando ci sono ambienti reali questi sembrano location cinematografiche (come ad es. un vero albergo dei poveri che si trasforma in un set), oppure sono scorci di città o luoghi ripresi in modo non naturalistico (come le strade di una Roma notturna, un po’ spettrale e metafisica, o una Capri da cartolina);

Serafino (che potrebbe essere anche un personaggio androgino interpretato da un’attrice) fa la parte, dentro il film muto, dell’operatore cinematografico (la sua unica azione è “girare la manovella della cinepresa”), al di fuori del set è colui che registra tutto, il suo diario che nel romanzo è scritto, nella nostra sceneggiatura diventa una ripresa in soggettiva fatta con il video digitale (oggi Serafino userebbe la videocamera, invece della penna) e con il suo commento off;

nel film oltre al tempo e allo spazio s’intrecciano anche  i generi, ogni capitolo  ha il suo “genere” dominante (ad esempio il momento idilliaco della vita famigliare nella campagna di Sorrento o della vacanza d’amore a Capri diventa una specie di canzone sceneggiata; l’episodio del tradimento e del suicidio è costruito come un melodramma; le situazioni tipiche del cinema muto sono raccontate in forma di gags comiche; gli intrecci sentimentali tra i personaggi richiamano la commedia; il finale assume le tinte fosche del thriller “noir”, etc.). Un film che è quindi, anche, una metafora del cinema.

 

Il mondo del cinema delle origini (anni dieci del ‘900), è un mondo ben conosciuto da Pirandello, che lo vede come una replica falsata e volgarizzata del mondo reale, dove la vita vera degli attori è ingoiata dalla macchina da presa (“un  grosso ragno nero in agguato sul treppiedi”) e fissata per sempre in una finzione che non è arte ma merce a buon mercato per il pubblico di massa. Nella visione di Pirandello persona e personaggio, realtà e finzione, passato e presente si mescolano fra loro in un colossale artificio tecnico che prefigura la Società dello Spettacolo della fine del XX secolo. Una realtà che diventa sempre più “virtuale”, più guardata che vissuta, dove la memoria è delegata alle macchine e il filtro dei mass media rischia di pilotare e anestetizzare le nostre emozioni.

Serafino però è anche, in una chiave più positiva, “colui che osserva e registra tutto”, quindi rappresenta concretamente la capacità di vedere oltre le maschere e i ruoli dei personaggi, ma anche, metaforicamente, la capacità del cinema di riprodurre la realtà andando oltre la realtà stessa.

 

Tutto è finzione, ma come dice Pirandello c’è “un oltre in tutto” da svelare, la finzione si incrocia e si moltiplica come un gioco di specchi, come le scatole cinesi, e a forza di osservare la finzione – come fa Serafino – si può scoprire qualche verità.

 

Andrea Balzola e Nico Garrone

Scarica la nota introduttiva in italiano

Scarica la nota introduttiva in inglese