Ateatro (100) 02/07/06
L'arte di ri-creare visioni del mondo
Un manifesto all'alba del terzo millennio
di Andrea Balzola per Weltanschauung
Al
sorgere del terzo millennio abbiamo guardato il planisfero del mondo e
abbiamo immaginato che gli artisti più significativi dell’immagine,
della parola e del pensiero di tutto il pianeta ne realizzassero uno
nuovo. Ciascuno con il proprio sguardo, la propria voce e il proprio
volto. Tanti autoritratti degli artisti, tracce del loro corpo e del
loro mondo poetico. Tanti tasselli differenti, singoli e indipendenti,
che compongono in uno stesso mosaico una nuova immagine del mondo, ed
insieme una grande carta d’identità artistica per il nuovo millennio.
Con la speranza che attraverso la conoscenza e il riconoscimento delle
identità proprie e altrui, e quindi delle loro differenze, sia possibile
trasformare una mappa di conflitti in una mappa di scambi creativi. Non
come imperativo ideologico ma come evoluzione culturale e spirituale.
L’arte, nel suo senso più ampio che
comprende le arti visive, la poesia, la musica, le arti sceniche e anche
l’arte di pensare, cioè la filosofia, quale senso ha oggi nella nostra
società globale, mediatica, tecnologica e materialista, dominata
dall’economia?
Nelle società antiche l’arte era indissociabile dalla vita e dai valori
della comunità, svolgeva il ruolo di simbolizzare le aspirazioni, le
paure e l’identità di una popolazione, di trasformarle in memoria
collettiva (prima tramite l’oralità e la pittura, poi con la scrittura)
e quindi in un patrimonio culturale e immaginario che si trasmetteva,
aggiornandosi e innovandosi, di generazione in generazione. L’arte era
l’anima creativa, lo specchio simbolico, nel bene e nel male, di una
socialità. Una funzione che in qualche misura ha conservato fino al
Novecento: agli albori del secolo con le avanguardie artistiche storiche
che hanno interpretato le contraddizioni e i traumi della rivoluzione
industriale moderna e delle ideologie totalitarie, e negli anni Sessanta
quando nuove avanguardie hanno rivitalizzato un’utopia di cambiamento,
di maggiore equità e libertà sociali.
Oggi, nel nuovo millennio, il mondo sembra più piccolo, i suoi confini
si sono definitivamente aperti, spesso traumaticamente, tramite i
conflitti e le migrazioni, oppure tramite l’evoluzione dei trasporti e
delle telecomunicazioni, o ancor più attraverso gli scambi commerciali e
finanziari. Il villaggio è diventato “globale” (come profetizzava
McLuhan), con una positiva miscellanea di etnie, culture e tradizioni,
ma anche con un forte e duplice rischio: la perdita delle identità
culturali locali o, all’opposto e per reazione, la loro violenta e
ideologica radicalizzazione fino al fanatismo nazionalista o
pseudoreligioso. Gli interessi economici si sono sempre più coniugati a
questi fanatismi, scatenando guerre, terrorismo, finte rivoluzioni,
genocidi di massa, con conseguenze disastrose anche per l’ambiente
naturale e la qualità della vita delle popolazioni, soprattutto le più
povere.
In questo scenario l’arte, nonostante il valore dei singoli talenti,
sembra aver perso il suo “mordente” nell’immaginario collettivo, la sua
diffusione di massa si limita alle grandi mostre del repertorio classico
o novecentesco, la sua contemporaneità è ristretta a un mercato
dell’arte sempre più simile al modello degli investimenti in borsa,
oppure a un ambito circoscritto di addetti ai lavori, riviste
specializzate, a occasioni espositive più commerciali che culturali
(come le fiere), anche i tradizionali appuntamenti (come la Biennale di
Venezia, Documenta Kassel, etc.) non hanno più l’impatto propositivo e
la credibilità del passato, le gallerie private sono deserte e le
sovvenzioni pubbliche, con la recessione in atto, sempre più scarse.
Oggi hanno un impatto sociale di gran lunga più rilevante la
comunicazione pubblicitaria o un qualsiasi evento mediatico, ma né l’una
né l’altro hanno la capacità di visione profonda dell’anima dell’uomo e
del suo tempo che invece può emergere dalle diverse espressioni
artistiche. Anche rispetto alla tecnologia, che domina la nostra
esistenza con un’innovazione accelerata e costante, spesso
autoreferenziale (la novità fine a stessa), l’arte potrebbe assumere un
ruolo molto importante interrogandone il senso, sperimentandone l’uso
creativo, intuendo, rivelando e interpretando le trasformazioni
esistenziali, antropologiche e culturali, biologiche persino, che essa
può produrre, insomma pilotando la tecnologia al di fuori della logica
puramente commerciale o militare verso uno sviluppo eticamente
consapevole e creativamente innovativo.
Per tutte queste ragioni abbiamo voluto (Artero, Eubel e Pfeiffer e io)
proporre a eminenti artisti, poeti e filosofi di tutti i continenti un
atto simbolico forte e collettivo: ridisegnare il planisfero del mondo
con immagini e parole che partono dalla riflessione su se stessi
(l’autoritratto, perché per cambiare il mondo bisogna partire da se
stessi), si aprono a una relazione creativa con l’altro (non
conflittuale o economica) e complessivamente propongono una visione
molteplice e interdipendente del mondo (non totalizzante e unilaterale,
perché quest’opera collettiva è fatta mantenendo e valorizzando le
identità individuali e culturali) per il nuovo millennio. Una visione
insieme ironica, drammatica, riflessiva, sensibile, provocatoria,
vitale.... Un’opera collettiva, dove la creatività artistica è segno
emblematico di un’alternativa possibile alla logica distruttiva del
conflitto, dell’intolleranza, del profitto a ogni costo e della
devastazione ecologica. Un atlante utopico del nostro tempo che
idealmente abbraccia l’intero pianeta e che vuole restituire all’arte,
alle arti, la sua funzione storica di avamposto intuitivo, sensibile,
profetico, poliedrico, dinamico e pacifico dell’immaginario collettivo.
TESTO-MANIFESTO DEL 1994, revisionato e aggiornato
All’inizio di ogni millennio gli uomini immaginano un nuovo destino del
mondo.
Il mondo si riflette in uno specchio collettivo e vede:
I popoli si mescolano ma non si uniscono. Razzismo, intolleranza
religiosa e guerre civili proliferano.
La guerra tecnologica maschera le sue barbarie in una sorta di “wargame”
elettronico che tutti possono seguire in diretta televisiva, come i
giochi olimpici.
Il pianeta terra è diventato la discarica dell’universo. Il mito dello
sviluppo tecnologico, industriale e militare illimitato, l’aumento
indiscriminato dei consumi e della popolazione, vampirizza e devasta le
risorse naturali, accentua il divario tra paesi ricchi e paesi poveri.
Ogni 30 secondi un essere umano muore di fame.
I satelliti fluttuanti nello spazio percepiscono un pianeta blu, ma la
sua anima sembra più nera.
L’arte viene da questo mondo, ma genera mondi che non appartengono a
nessun luogo.
L’arte è il mondo della visione.
L’opera è una visione del mondo (Weltanschauung).
L’arte è arte delle trasformazioni.
Cerchiamo allora di cambiare l’immagine del mondo attraverso lo sguardo
degli artisti,
la voce dei poeti e dei filosofi aperti al dialogo.
Abbiamo affidato al vento la nostra voce perché andasse nei cinque
continenti, a domandare:
Qual è il ruolo dell’artista in questo mondo?
L’artista come vede se stesso?
E come vede il mondo all’alba del nuovo millennio?
Quale mondo nuovo può nascere dalle visioni dell’arte e della poesia?
Il mondo è lo specchio dell’uomo.
L’occhio è lo specchio del mondo e la finestra dell’anima.
L’opera è confronto tra sé e il mondo.
L’opera è l’autoritratto dell’artista.
Il volto del mondo e quello dell’artista si sovrappongono.
Ogni viso è un paesaggio. Un continente. Un mondo.
Andrea Balzola per Weltanschauung
CRONOLOGIA aggiornata DEL PROGETTO WELTANSCHAUUNG (da inserire
nel volume pubblicato)
1993 - Nasce a Torino il progetto italo-tedesco “Planisfero
Weltanschauung - Autoritratto del mondo nel nuovo millennio”, da un’idea
dell’art designer Silvio Artero, dello scrittore Andrea Balzola e
dell’artista Johannes Pfeiffer. L’idea è presentata al Direttore del
Goethe Institut Turin Paul Eubel, che accoglie il progetto, collaborando
alla sua definizione e alla sua realizzazione.
1994 - Circa 150 tasselli che compongono il planisfero
Weltanschauung sono inviati ad artisti di oltre 50 paesi di tutti i
continenti. Le risposte degli artisti arrivano nell’arco di tutto il
1994 e il 1995, fino a raggiungere una novantina di adesioni da più di
quaranta paesi. Tra le adesioni ci sono molti nomi notissimi, numerosi
emergenti e alcuni provenienti da paesi ai margini del mercato mondiale
dell’arte. Viene realizzato un poster che presenta il riempirsi
progressivo del planisfera con le immagini inviate dagli artisti.
1995 - La direzione generale dell’Unesco invita gli autori a
presentare il progetto alla conferenza internazionale “Art: tolerance
and intolerance”, organizzata il 15 dicembre presso la Fondazione Cini
di Venezia. In questa occasione il francese Pierre Restany, la russa
Swetlana Dscafarowa, l’italiano Paolo Levi, i tedesci Manfred Nagele e
Elmar Zorn, l’indiano Sarat Maharaj, aderiscono al progetto come membri
del comitato scientifico.
1996 – Su invito di Ibrahim Spahic, direttore del Winter Festival
di Sarajevo, gli autori del progetto presentano in anteprima mondiale il
planisfero delle opere, non ancora completo, nel museo d’arte moderna
della città martire bosniaca, appena uscita dai bombardamenti e ancora
sotto stato d’assedio. Andrea Balzola e Johannes Pfeiffer portano di
persona e allestiscono il planisfero tra la fine di febbraio e l’inizio
di marzo. I mass media italiani annunciano con rilievo l’evento,
intervistando gli autori e gli artisti italiani coinvolti nell’opera
collettiva, tra i quali: Gilardi, Paladino, Pistoletto, Rotella, Vedova.
Alla fine di marzo il Ministero degli esteri italiano sceglie il
Planisfero Weltanschauung come opera artistica simbolica della
Conferenza intergovernativa europea per la Revisione del Trattato di
Maastricht, presso la nuova sede del Lingotto di Torino.
1997-2000 – Gli autori e Paul Eubel, nel frattempo nominato
Direttore del Goethe Institut del Lussemburgo, progettano e realizzano
un book in pochi esemplari con le fotografie delle opere e contattano
poeti e intellettuali di tutto il mondo, chiedendo di partecipare
all’opera con un intervento autografo.
2001-2005 - Paul Eubel, divenuto Direttore del Goethe Institut di
Palermo, continua e completa, con la collaborazione degli altri autori
del progetto, il planisfero e il volume ottenendo la partecipazione al
progetto di alcune delle più prestigiose figure internazionali nel campo
della filosofia, della religione e della poesia. Il planisfero sarà
composto con tasselli incorniciati con legno laccato lavorato
appositamente a mano in Giappone.
2006 Presentazione del volume (Swirdoff editore) e del Planisfero
Palazzo dei Normanni e nuovo Museo d’arte contemporanea di Palermo, in
attesa della presentazione internazionale che si svolgerà a dicembre a
New York al Palazzo dell’Onu e al Moma
|
“TRANSITORIUM”: UN SITO ANTICO CHE
FA SOGNI CONTEMPORANEI
Un
progetto di Studio Azzurro in collaborazione con il corso
multimediale dell’Accademia di Belle arti di Brera, nell’ambito del
progetto di recupero archeologico, urbanistico e culturale dell’area
Terme di Diocleziano a Roma.
Di Andrea
Balzola
Tra gli anni Ottanta e il Duemila si
compie il restauro e la sistemazione dell’ex Planetario (aula
angolare c.d. “Rotunda Diocletiani”), dell’aula adiacente (ex
cappella di S.Isidoro) e delle “Olearie”, a cura dell’Architetto
Gianni Bulian, ora Soprintendente ai Beni Architettonici e per il
Paesaggio di Siena e Grosseto. Un intervento complesso ed esemplare
che non solo rigenera un’area importante del complesso archeologico
delle Terme di Diocleziano, uno dei siti più prestigiosi della
capitale, ma che rilancia la prospettiva fortemente sostenuta dalla
Soprintendenza Archeologica di Roma – e per altro già prevista
nell’ultimo piano regolatore urbano – di un ricongiungimento dell’ex
Planetario con l’area delle Olearie e più in generale con il
complesso delle Terme di Diocleziano, arbitrariamente separati nel
1878 dall’apertura della via Cernaia. Per i dettagli della storia di
questo sito, delle sue trasformazioni e del recente restauro,
rimandiamo al testo dell’architetto Bulian,
mentre in questo articolo illustreremo le fasi e le motivazioni di
un progetto artistico elaborato da Studio Azzurro in collaborazione
con il sottoscritto, il sound designer Hubert Westkemper e
sviluppato nel biennio di specializzazione del corso di Arte e
comunicazione multimediale dell’Accademia di Brera, negli anni
scolastici 2003-2004 e 2004-2005.
Oltre all’adattamento museale
dell’ex Planetario, con il Giubileo del 2000 è completato il
restauro delle “Olearie”, uno spazio interrato per il deposito
dell’olio dell’Annona Pontificia (ricavato all’interno dei granari
Gregoriani nel 1764), con 10 pozzi di forma ellittica (diametro
minore mt 4.00, diam. Magg. Mt. 5.20, altezza mt.6.50) che potevano
contenere fino a 44.000 litri d’olio ognuno. Questi 10 pozzi sono
allineati su due corridoi ad archi (volte a croce) che offrono al
visitatore una prospettiva particolarmente suggestiva, che viene
però, al momento, interrotta per l’interposizione di via Cernaia,
invece di proseguire, come nell’assetto originario, nell’area
sottostante l’ex Planetario (senza tale interruzione si avrebbe una
continuità di oltre 120 metri).
Questo ambiente risulta estremamente
compatto ed anche compresso (i soffitti sono alti circa 2.80 metri)
con la centralità di questi pozzi (il cui affaccio è rialzato), che
marcano lo spazio con una presenza tanto forte quanto ineludibile,
di grande suggestione ma di difficile utilizzazione museale, infatti
qualsiasi allestimento o si scontra con i vincoli archeologici o
diventa invasivo e snaturante. Scrive Bulian: “Sarebbe estremamente
importante far capire, con mezzi non banali, questo mondo
sotterraneo, relativo ai vari momenti della storia del
monumento, come del resto la magnificenza delle Terme, con le sue
piscine sussidiarie la cui acqua era riscaldata in immensi
contenitori di bronzo, con il “Tepidarium”, in cui un enorme disco
di bronzo scendeva dalle volte per mantenere il calore prodotto dai
bracieri, il “Frigidarium” e la “Natatio” su cui si specchiava il
fronte monumentale ricco di marmi preziosi…”
Vedendo le Olearie restaurate da
Bulian, Mara Coccia, "promoter dell'arte" e
protagonista di quarant’anni
di vita artistica romana (dalla celebre galleria Arco d’Alibert
aperta nel 1963, al rilancio del gruppo Forma 1, fino alla
recente attività con l’associazione che porta il suo nome),
suggerisce il loro utilizzo in una chiave espositiva inedita,
lasciare inalterata la bellezza dell’ambiente offrendola alle
interpretazioni della nuova frontiera dell’arte “immateriale”:
l’arte delle videoinstallazioni, degli ambienti virtuali e
interattivi, dove immagini e suoni abitano lo spazio, lo reinventano,
lo attraversano, senza però occuparlo di materia solida, senza
necessità di avere un allestimento di supporto. L’idea sarebbe
quella di aprire nel sito Olearie un nuovo polo espositivo
permanente a Roma dedicato alle nuove arti tecnologiche. I primi
nomi che giustamente vengono in mente a Mara Coccia sono Peter
Greenaway e Studio Azzurro, non solo due modelli di riferimento
della ricerca artistica intermediale, ma simbolicamente legati a un
contributo innovativo nello scenario artistico capitolino. Mentre il
primo dedica all’archeologia romana una delle sue prime e più
significative opere cinematografiche (“Il ventre dell’architetto”,
1987), i secondi allestiscono a Roma una delle mostre-evento più
innovative e più visitate degli ultimi anni (“Ambienti sensibili”,
Palazzo delle Esposizioni, 1999) e poi inaugurano la Notte Bianca
del 2003 con la visionaria videoinstallazione “Le piume del
Campidoglio” sulla scalinata del Campidoglio.
Il progetto di Greenaway si ferma a
uno stadio ancora embrionale, invece il contatto di Gianni Bulian e
di Mara Coccia, coadiuvata da Patrizia Ferri (storica e critica
d’arte), con Studio Azzurro si evolve positivamente e nella
primavera del 2004 Paolo Rosa mi propone di avviare insieme al
gruppo di Studio Azzurro un laboratorio di ricerca e progettazione
per una installazione video e sonora interattiva nel sito delle
Olearie, nell’ambito dell’esordiente biennio di specializzazione del
corso di arte multimediale dell’accademia di Brera, dove entrambi
insegniamo. Al progetto si aggiunge Hubert Westkemper, collaboratore
di Luca Ronconi, Bob Wilson e altri noti artisti per la
progettazione sonora di allestimenti scenici e ambientali.
Inizialmente la prospettiva
d’intervento artistico è limitato allo spazio delle Olearie, poi la
Soprintendenza Archeologica di Roma, prima nella persona del
direttore La Regina e poi del suo attuale successore Bottini,
autorizza l’estensione del progetto installativo ai locali dell’ex
Planetario, in questo modo si rende ancor più necessario anche un
intervento temporaneo e fortemente simbolico su via Cernaia per
evidenziarne il carattere di rottura dell’equilibrio architettonico,
archeologico e urbanistico rispetto all’unità originaria del sito
delle Terme di Diocleziano.
Nasce così l’idea di creare un “Trittico
ambientale”, un intervento
artistico che si proponga come un affresco multimediale e
multidimensionale, non limitato dallo spazio di una parete come
gli affreschi antichi, ma che viva nello spazio urbano e sia
ponte tra vita reale e dimensione virtuale. Un ponte che operi una
ricongiunzione simbolica fra due siti archeologici impropriamente
separati e fra due architetture, quella antica e reale delle Terme
di Diocleziano (centro della socialità della Roma antica, oggi
rivivibile solo tramite la ricostruzione archeologica e
l’immaginario dei suoi visitatori), e quella contemporanea e
virtuale di ambienti artistici immateriali (generati
elettronicamente e sperimentabili dai visitatori con modalità
interattive).
L’antica organizzazione delle Terme
in 3 ambienti - Calidarium, Tepidarium e
Refrigerium - evoca la tripartizione dei luoghi dell’Aldilà
cristiano: Inferno, Purgatorio e Paradiso, e
con il passaggio dal caldo al freddo, i suoi vapori, il luogo
termale antico suggerì al grande Papa e teologo Gregorio Magno (Papa
nel 590 d.C.) l’idea di localizzare per la prima volta il Purgatorio
in un sito termale (IV libro dei Dialoghi).
Gli stessi ambienti sotterranei delle Olearie prima di essere
depositi dell’olio erano luogo di accumulazione e accensione della
legna da ardere per riscaldare gli ambienti termali soprastanti.
I luoghi dell’installazione sono
quindi interpretati come un luogo di transito tra passato,
presente e futuro (un futuro prossimo in cui si auspica la
ricongiunzione dei 2 siti, come già previsto dal piano regolatore),
tra reale e immaginario, tra basso (i sotterranei
delle olearie) e alto (il planetario che si apre verso il
cielo), tra chiuso e aperto, tra nascosto e visibile.
Di qui il titolo del progetto: “TRANSITORIUM. Trittico ambientale”,
un
titolo che nasce appunto dall’idea
di passaggio tra gli spazi fisici (Calidarium, Tepidarium,
Refrigerium), ma anche tra gli stadi di un processo storico, di
un processo mentale; un passaggio tra gli strati archeologici;
l’idea di un attraversamento oggi impossibile tra i due ambienti
Olearie e Planetario, sbarrato da una strada a scorrimento di
traffico, due luoghi antichi la cui comunicazione è interrotta da un
luogo di passaggio contemporaneo, la strada automobilistica. Un nome
inventato, un “neologismo latino” che evoca, anche ironicamente,
l’idea del passaggio, della trasformazione, anche dell’impermanenza
degli esseri e dei luoghi. Evoca l’idea di un “purgatorio” laico,
per i vivi, senza attributi morali o teologici, condizione di
passaggio, ponte tra passato e presente, tra basso e alto, tra terra
e cielo, tra chiuso e aperto, tra pesante e leggero.
Riflettere su questi passaggi simbolici
attraverso gli strumenti dell’arte significa naturalmente riflettere
sulle trasformazioni dell’immaginario, tanto più che oggi la tecnologia
è la principale artefice dei cambiamenti non solo delle condizioni reali
dell’uomo ma anche del suo immaginario. Da questo punto di vista
l’artista che fa uso delle nuove tecnologie e dei new media oggi può
svolgere un ruolo fondamentale proprio per orientare i processi
cognitivi e comunicativi in questo universo complesso, che può essere
straordinario ma anche alienante ed eticamente pericoloso. Scrive
Derrick De Kerckhove: “L’artista lavora la tecnologia per darle un
senso diverso dalla sua finalità tecnica. In effetti, se l’utilizzazione
pratica, letterale, di una tecnologia è sufficiente a giustificarla e a
legittimarla secondo dei criteri di efficacia, è la sua interpretazione
metaforica che l’introduce come fattore di trasformazione psicologica.
Nella cultura occidentale, dove la condizione è l’innovazione
accelerata, solo l’artista si fa carico, fin dall’inizio, di questo
lavoro metaforico.”
Dunque, per un intervento artistico
multimediale in un sito archeologico come quello descritto, ci
interessava partire da una ricerca e da una riflessione sulle “alterazioni
genetiche dell’immaginario”:
trasformazioni dell’immaginario, dall’antico al futuro, dalla terra al
cielo, dal naturale all’artificiale.
L’immaginario contemporaneo ha radici
antiche, archetipiche (una dimensione “archeologica”), ma subisce oggi
una pressione e un’influenza senza precedenti storici, ad opera dei mass
media (televisione, giornali) e dei new media (Internet, telefonia
cellulare, Realtà Virtuali), che lo stimolano, lo nutrono, lo saturano,
lo modellano, producendo delle vere e proprie “mutazioni/alterazioni
gen-etiche”. E’ possibile ri-appropriarsi artisticamente ed eticamente
di queste mutazioni e convertirle, almeno sul piano simbolico, con la
ricerca di nuove esperienze di comunicazione ed espressione collettive
che si oppongano alle logiche di persuasione, conflitto e di dominio. In
questo senso ci pare molto importante creare una relazione stabile
tra ricerca-produzione artistica con le nuove tecnologie e
formazione artistica e culturale nelle istituzioni pubbliche, come
le Accademie, i Conservatori e i Dams, con sbocchi espositivi,
editoriali, produttivi sul e con il territorio, possibilmente in
collaborazione con gli Enti pubblici. Questa è una concezione diversa
del fare arte, che intende ritrovare una funzione attiva e socialmente
riconoscibile all’interno della comunità, coinvolgendo – anche
concretamente attraverso le tecnologie interattive (vedi gli “ambienti
sensibili” di studio Azzurro) - una collettività di spettatori, creando
un’arte di relazione piuttosto che richiudersi esclusivamente
nella logica sempre più angusta dei circuiti del collezionismo privato,
delle gallerie o delle fiere d’arte, ma anche di manifestazioni ormai
oggi pilotate più dal mercato che da un’esplorazione sincera delle nuove
frontiere espressive. Far tornare l’arte dentro la Polis, in mezzo
alla gente e agli spazi urbani pubblici, come occasione e strumento
di una rinnovata volontà di pensare e ridisegnare il divenire della
comunità umana.
Il progetto “Transitorium. Trittico
ambientale” viene perciò presentato e proposto agli studenti di
Brera su un triplice livello: 1) la descrizione dei siti, delle loro
caratteristiche strutturali, della loro storia e trasformazione, delle
possibilità concrete di intervento artistico; 2) il lavoro di Studio
Azzurro, tra estetica e pratica artistica delle nuove tecnologie e in
particolare l’esplorazione dell’interattività; 3) gli spunti tematici e
la “filosofia” del progetto.
Il lavoro con gli studenti di Brera
inizia così con la descrizione analitica degli spazi destinati
all’installazione e con la loro storia, successivamente approfondita
mediante una lezione dell’architetto Gianni Bulian all’Accademia di
Brera (6.05.2004) e lo studio delle fotografie e delle planimetrie
fornite dalla Soprintendenza di Roma. Contestualmente gli studenti
incontrano anche Mara Coccia, su possibilità e modalità di eventuali
interventi artistici negli ambienti in oggetto (6.05.04). Rosa
sottolinea come
“in un ambiente
interattivo, il dialogo con il luogo sia fondamentale, e ancora di più
in questo caso, dove l’immaginario archetipico e l’immaginario
futuristico sono messi a confronto. La fase progettuale per un lavoro
come questo, in cui sono necessari ingenti investimenti, deve essere
molto solida.”
Dopo una proiezione antologica,
sintetica e commentata, delle principali opere realizzate da Studio
Azzurro, si procede all’impostazione del progetto, in due fasi: una
preliminare, più teorica, di discussione su alcune questione centrali
nelle arti tecnologiche e di ricerca tematica e iconografica, e una
successiva, operativa, di progettazione collettiva. In specifico, si
propone agli studenti di lavorare su alcuni temi di ricerca da
suddividere fra altrettanti gruppi di lavoro. Ogni tema potrebbe
corrispondere a una cisterna. Sono ambienti sotterranei a pianta
ellittica con un foro circolare di accesso dall’alto, chiuso da una
griglia (rimovibile). Prevedendo delle installazioni interattive si può
immaginare che gli spettatori provochino con la loro presenza e/o azione
dei cambiamenti sulle figure (immagini e suoni) che vi sono
“imprigionate”. Si suggeriscono temi che possono rappresentare, come
ipotesi iniziali, la sensibilità etica contemporanea, con particolare
riferimento al rapporto tra immaginario artistico, tecnologico e
mediatico
Vengono così formati i gruppi e raccolta
della documentazione sui temi proposti: materiali molto semplici e
flessibili, icone, clip audiovisive, immagini di luoghi che possono
diventare ambientazioni emblematiche, brevi testi e citazioni. Questo
materiale serve come spunto iniziale, materia grezza da elaborare
mediante un’idea progettuale. Viene creato anche un gruppo di lavoro
trasversale con il compito di documentare e testimoniare tutte le fasi
progettuali, al fine di realizzare, alla fine del percorso, un DVD che
raccoglie materiali, appunti delle lezioni e progetti, come una sorta di
diario di bordo multimediale. Dopo aver ripercorso le origini dell’idea
di multimedialità e le diverse definizioni che hanno cercato di
identificare l’evoluzione dei rapporti tra i linguaggi artistici e tra
questi e l’innovazione tecnologica,
ci si è soffermati sul concetto centrale del progetto installativo: l’interattività.
Rosa sottolinea la
necessità di differenziare l’interazione dall’interattività.
“L’interazione esiste da sempre e fa parte del nostro patrimonio
antropologico, mentre l’interattività non è più la relazione
(interazione) fra noi e l’oggetto ma è una relazione che abbiamo
costruito e registrato, l’attimo che viene fissato dal supporto. In
questo senso è un concetto molto recente, introduce una variabile tra
noi e le persone con cui ci mettiamo in relazione, lascia delle tracce.
Le tracce registrate possono ricostruire il nostro carattere, perciò
l’orizzonte di riferimento più avanzato dell’interattività può esprimere
nello stesso tempo la massima ambiguità e la massima potenzialità. In
un’opera di Studio Azzurro di dieci anni fa: “Tavoli – Perché queste
mani mi toccano” su dei tavoli di legno erano proiettate delle immagini
ritagliate su nero, queste respiravano e si muovevano appena appena. Se
toccate reagivano, per esempio una ciotola si rovesciava, una tovaglia
si apparecchiava e veniva contesa fra le persone che la toccavano, una
opulenta signora fuggiva, si girava e se ne andava, ogni cosa era
legata ad una propria storia. Il tutto avveniva con un’estrema
semplicità di relazione, non c’era bisogno di chissà quale avventura
procedurale per relazionarsi con l’opera. In queste azioni avveniva
anche uno spostamento percettivo: che cosa toccavi? Una signora in carne
o un pezzo di legno? C’è un’oscillazione da un mondo all’altro. Bisogna
saper usare la duplicità di questi due mondi, è necessario saperli
distinguere. “
L’arte, in questo
senso, diventa anche uno strumento di consapevolezza. Il filosofo Raimon
Panikkar suggerisce che l’arte può assumere un ruolo di correzione della
tecnocrazia. E’ come uno specchio che mette una sorta di distanza dalle
cose per creare consapevolezza, far riflettere o dubitare, vedere e
sentire in modo inedito. Altri filosofi, come Galimberti, Jonas, dicono
che l’etica tradizionale è in crisi perché non riesce più a star dietro
all’immaginazione e all’innovazione tecnica. L’unica soluzione è quella
di entrarci dentro, e l’arte dà questa possibilità, permette di entrare
nel processo produttivo dell’immaginario, nella tecnica. Gli artisti
danno strumenti di conoscenza. L’arte permette di guardare le cose a
distanza, fornisce strumenti inediti di interpretazione e di
orientamento simbolico, correggendo l’autoreferenzialità della
tecnologia. Il passaggio dalla creatività all’atto artistico è il
passaggio ad una progettazione che ingloba tematiche etiche e sociali.
Il gesto minimale che oggi, grazie all’ampliamento della tecnologia può
avere grandi ripercussioni, può essere preso come esempio inverso e
positivo: piccoli gesti possono avere una risonanza straordinaria. In
questo modo possiamo superare la logica dell’impotenza. L’arte deve
venire da una forte motivazione a fare le cose, da un impulso per
reagire facendo qualcosa nel piccolo per dare strumenti di
consapevolezza che permettano di crearsi un proprio giudizio etico.
Il gesto minimale
che oggi, grazie all’ampliamento della tecnologia può avere grandi
ripercussioni, può essere preso come esempio inverso e positivo: piccoli
gesti possono avere una risonanza straordinaria. In questo modo è hr
possibile superare la logica dell’impotenza. L’arte deve venire da una
forte motivazione a fare le cose, da un impulso a reagire facendo
qualcosa nel piccolo per dare strumenti di consapevolezza che permettano
di crearsi un proprio giudizio etico.
Westkemper, analizzando lo spazio da un
punto di vista sonoro, nota che tutte le superfici sono costituite da
materiali riflettenti (pietra, intonaco) e che ci sono tante superfici
su cui le onde sonore si infrangeranno. L’intonaco quando è ruvido,
diffonde in tutte le direzioni. Quindi ci sarà sicuramente una forte
riverberazione. Le cisterne risuonano come se soffiassimo dentro una
bottiglia. In base alla dimensione, i risuonatori, hanno una loro
particolare frequenza di risonanza, una nota. Maggiore è il volume e più
bassa è la frequenza. Se un contenitore si riempie d’acqua, il volume
cambia e così la frequenza (l’acqua può essere utile anche come
superficie di proiezione). Si potrebbe in questo modo pensare di
intonare i pozzi/cisterne. Questi possono essere attivi o passivi, se
mettiamo al loro interno del materiale fonoassorbente come il cotone,
viene risucchiata l’energia della frequenza di risonanza e viene
restituita solo la parte non assorbita. Con pareti rigide, invece, viene
esaltata la risonanza ad una frequenza specifica per quel pozzo e ci
sarà un riverbero che farà persistere per un po’ i suoni e i rumori
nell’aria. Le varie cisterne non sono isolate acusticamente e quindi
potranno comunicare fra di loro. Si possono mettere anche delle casse
dentro ai pozzi per farne uscire dei suoni. Anche l’audio potrebbe
essere interattivo.
Olearie.
Degli organismi virtuali, visivi e sonori (vagamente ispirati alle
creature ibride del “Giardino delle delizie” di Hyeronimus Bosch)
sono prigionieri delle cisterne sotterranee (proiezioni interattive
dentro le otri), dove vivono una condizione di purgatorio. Questo ha
anche un significato in relazione alla storia del luogo termale romano
(le terme sono luogo purgatoriale arcaico), dove era depositata la legna
per il fuoco, accesa per riscaldare i pavimenti, ma anche
successivamente deposito dell’olio, che richiama sia un legame con la
terra sia il significato mistico-cristiano, cresimale).
Gli organismi, che vivono uno stato
simile a quello del baco nel bozzolo, sono modificate interattivamente
dai visitatori, mediante interfacce visive e sonore controllate da
computer. Ognuno di essi ha un carattere diverso, legato ai grandi temi
dell’etica contemporanea (una sorta di purgatorio dell’immaginario
contemporaneo, assediato e manipolato dei media) e attorno ad essa è
creato un ambiente visivo e sonoro interattivo specifico e diverso dagli
altri.

Via Cernaia
è una sorta di ferita aperta nel seno del grande sito archeologico, un
flusso di traffico che calpesta quotidianamente la memoria storica. Gli
ambienti sotterranei delle Olearie e quelli sottostanti il Planetario
sono separati da un muro che interrompe la suggestiva fuga prospettica
delle arcate. Su questo muro si prevede un intervento di “sfondamento”
virtuale, come se su quella parete si proiettasse un futuro e simbolico
ricongiungimento dei due corpi artificialmente separati del complesso
archeologico. Si pensa anche a un richiamo esterno, direttamente sulla
strada per testimoniare pubblicamente ed evocare l’idea e l’aspirazione
di un superamento di questa separazione. In questo caso fonte di
snaturamento e degrado del patrimonio storico-culturale, ma anche
simbolo di una separazione artificiale ( e di un conflitto) tra passato
e presente.

Il Planetario dovrebbe essere il
luogo della liberazione, della trasformazione, dell’alleggerimento e
dell’elevazione verso l’alto, dove simbolicamente il baco esce dal
bozzolo e diventa farfalla (in greco: psiché, anima). Dopo aver
consumato una condizione “purgatoriale” di immersione nell’immaginario
mediatico (mediato dai media), un’uscita verso nuovi orizzonti di
autonomia dell’immaginario e di desiderio di immaginare un nuovo mondo
possibile. Metafora anche di una città ideale dove l’immaginario del
futuro si coniuga al rispetto e alla riscoperta delle radici antiche.
Fasi
didattiche-operative 2004
Lavoro preparatorio nel primo
anno (febbraio-giugno 2004):
1)
elaborazione di un progetto creativo a partire dall’idea iniziale
dei curatori, eventuale integrazione dei suggerimenti più interessanti,
organizzazione degli allievi interessati in gruppi di ricerca e in un
gruppo di documentazione delle fasi evolutive del progetto stesso (il
cui materiale potrà poi confluire in un catalogo-dvd-sito multimediale);
2)
messa a punto del progetto creativo sul piano dell’ideazione, con
prime visualizzazioni progettuali;
3)
sopralluoghi nei locali stessi per avere schema, misure e
coordinate di agibilità degli spazi; preselezione di materiali (filmati,
immagini, testi, campionamenti sonori) da sottoporre all’elaborazione
degli studenti sotto la direzione artistica dei docenti;
4)
prime ipotesi di soluzioni tecniche e dell’impiantistica
necessaria; definizione della filosofia del progetto.
I gruppi formati sono:
Alterazioni del corpo, Lucia Dibisceglie, Elena Salvatori;
S.Sanvito; Out of
control, (controllo,
voyeurismo e privacy), Chiara Foletto,
Francesco Mannarini,
Lorenzo Pacinotti, Jacopo Rovida,
Sara Schutte, Andrea Zaccone; Identità artificiali, Elmar
Giacemmo; Il canto dell’anima,
Andrea Cillo, Sabina Grasso,
Roberto Presici, Sonia Velluto;
Informazione mediata,
Giuseppe Valentino; La creatura ibrida e mutante,
Isabella Dovera, Viola Serra
Marchio come stile di vita,
Paolo Benvenuto, Paolo Robaudi,
Alessandro Zangirolami; Spurgatorium, Rita Casdia;
Vita nel cyberspazio, Barbara De Marco; Wargame (la
guerra tecnologica vista attraverso i media), Alex Bombardieri;
Il gruppo documentazione progetto è invece formato da
Barbara De Marco, Chiara Foletto, Rita Casdia, Alex Bombardieri.
Questi gruppi iniziali subiranno poi modiche.
Scarica il documento del progetto
progetto_olearie.doc
|

La f@ttoria degli anormali
di XLab Videofactory e Cut-Up è stato presentato a Lucca Comics sabato
29 ottobre 2006. Testo e regia complessiva di Andrea Balzola;
partecipano al progetto: Emanuela Villagrossi, Mauro Lupone, Andrea
Brogi, Anna Maria Monteverdi.
Il dossier "La f@ttoria degli
anormali"
90.41 La
f@ttoria degli anormali
Un progetto crossmediale
di Anna Maria Monteverdi
90.42 Una
storia anormale
Intervista a Andrea Balzola su "La f@ttoria degli anormali"
di Anna Maria Monteverdi

90.44 Rischi
e potenzialità della biogenetica
Sul progetto "La f@ttoria degli anormali"
di Gianni Tamino
90.45 Alienazione
umana e sofferenza animale
Sul progetto "La f@ttoria degli anormali"
di Roberta Bartocci
C'era una volta la biologia. Surclassata dall'ingegneria genetica, la
libera ricerca scientifica della vita animale e umana è ora votata alla
manipolazione genetica attraverso il principio del DNA ricombinante, con
la finalità di trovare terapie geniche per l'uomo. Ma troppo spesso la
ricerca scientifica appare spregiudicata e contraffatta, dimentica dei
criteri di uno sviluppo sostenibile, delle scelte etiche, delle
implicazioni sociali; alle strette dipendenze di aziende private e case
farmaceutiche, sta al passo con l'“economia di mercato”. Emblematica la
vicenda di Craig Venter e della Celera Genomics, che ha prima fatto
ricerca come membro di un consorzio pubblico e poi ha fondato una Onlus
con cui ha completato il sequenziamento dei geni del Progetto Genoma
Umano (nato per la decifrazione dell'intera sequenza del DNA umano) e ha
chiesto come privato il brevetto per quello che l'Unesco ha definito un
bene collettivo dell'umanità.
Da lì in poi sono partite le corse al brevetto da parte di
multinazionali per gli OGM, organismi animali e vegetali modificati
tramite innesti di geni, ad uso di nuove piantagioni o di animali
clonati o potenziati per la produzione di carne o latte. Ecco così il
pomodoro che non marcisce mai, il cotone resistente ai pesticidi, il
riso ricco di vitamina A, il mais modificato Mon863 (Mon sta per
Monsanto, la multinazionale già produttrice del famigerato agente
Orange, il defoliante usato dall'esercito americano durante la
guerra in Vietnam).
Ha un bel da fare l'economista e ambientalista Jeremy Rifkin. E
con lui associazioni di ambientalisti, animalisti, associazioni
bioetiche e di altroconsumo impegnati nella lotta contro la possibile
tossicità dei cibi transgenici e contro l'alterazione dell'ambiente e
avvelenamento dell'ecosistema.

“I vecchi animali si estinguono? E chissenefrega! Si può fare di
meglio!”, tuona il televenditore mutante, testimonial della Genetical
Animal Farm de La Fattoria degli anormali, multinazionale che
provvede a creare alla bisogna, animali kamikaze, bestie esotiche in
tinta con il cappotto, con le tende del salotto; insetti-spia, cani
guerrafondai (il pitbush!). E così gli “animali ritoccati” sono utili:
come cavie o per trapianti, clonati per esigenze di cucina:
“Applicazioni pratiche della clonazione:(...) possono interessare
animali con caratteristiche speciali, utili per l'uomo. Bovini con carne
più abbondante; pecore che producano proteine umane nel latte da usare
per scopi medici; maiali geneticamente modificati in modo che i loro
organi possano essere usati per trapianti nell'uomo” (Renato Dulbecco,
La mappa della vita).
E se le specie animali si possono migliorare, allora che dire dell'uomo?
Dalla clonazione all'eugenetica il passo sembra breve: si favorirà la
nascita di esseri portatori di determinati caratteri evitando la
riproduzioni di quelli non graditi?
“La tendenza alla violenza deve risiedere nei geni, perché è
caratteristica di tutta la specie umana, e anche di molti animali... Nel
cervello di molti individui i geni hanno creato una bestia, più o meno
feroce, che rimane silente fino a quando è pronta a saltare e uccidere
(...) Potremo un giorno liberarcene con la manipolazione dei geni?”
(Renato Dulbecco, La mappa ragionevoli della vita).
A dieci anni dalla nascita del primo prodotto biotech, il pomodoro Flavr
Savr©, neanche l'arte è rimasta indenne: il brasiliano Eduard Kac
è l'inventore della Transgenic art e del coniglio fosforescente nato da
un incrocio con una medusa del Pacifico: un’aberrante operazione in nome
dell'arte, il cui motto - Essere umano non sarà più un nostro limite
ma il nostro punto di partenza - è più volte citato ironicamente
dagli autori de La Fattoria degli Anormali.
www.cut-up.net
www.fattoriaorwell.org
La f@ttoria degli anormali
Un progetto crossmediale
di Anna Maria Monteverdi
|

Un progetto
crossmediale: La fattoria degli anormali nasce da
un’idea drammaturgica di ANDREA BALZOLA ed è stato
elaborato in forma di progetto tecnoartistico da Balzola con il
musicista elettronico MAURO LUPONE dell'associazione
tecnoteatrale Zonegemma, già creatrice con GIACOMO
VERDE di Storie mandaliche. Al gruppo si sono uniti l’interactive
designer ANDREA BROGI di X-lab, il videomaker
PIERPAOLO MAGNANI, l'attrice EMANUELA VILLAGROSSI, e
i disegnatori ARMANDO ROSSI e ONOFRIO CATACCHIO. La
Fattoria degli anormali è una produzione Xlab Factory, Cut up,
in collaborazione con La Città del Teatro di Cascina, Lucca
comics & games. Sono partner del progetto: Regione Liguria,
gruppo Consigliare dei Verdi per la Pace; Circolo Nuova
ecologia-Legambiente della Spezia, Assessorato alla cultura e
Assessorato all'ambiente e alla tutela degli animali del Comune
della Spezia.
Il testo di Andrea Balzola è ispirato alle sperimentazioni
biotecnologiche applicate in particolare al mondo animale;
Zonegemma con la collaborazione specifica di vari professionisti
nei diversi settori (computer graphics, comic art, web design,
video), associazioni, corsi universitari (Corsi di
Drammaturgia multimediale dell’Accademia di Belle Arti di Brera,
Sound Design dell’Accademia di Belle Arti di Carrara,
Realtà Virtuali del Dipartimento di Informatica e
Comunicazione dell’Università di Milano, Corso di Laurea in
Cinema Musica e Teatro dell'Università di Pisa, Scenografia
cinematografica Accademia Albertina Torino e Politecnico di
Torino) sta realizzando vari formati artistici
specificatamente multimediali incrociati tra loro: video
con animazioni, comic book, sito web, spettacolo tecnologico.
La trama: La fattoria degli anormali si ispira
molto liberamente al noto romanzo di Orwell. Lo scenario è
quello di un'ironica e anomala esasperazione dei risultati di
una scienza biogenetica controllata e gestita da un’azienda
privata multinazionale (la Genetical Animal Farm), in un mondo
futuribile (ma neanche troppo) che crea mutazioni ambientali e
antropologiche, manipolazioni genetiche di tutte le forme
viventi e ogni genere di incroci, ibridi, clonazioni con il
relativo contorno di sfruttamenti economici, di brevetti, tutti
argomenti di grande attualità che pongono seri interrogativi di
natura politica ed etica. Gli animali anormali si ribelleranno e
rovesceranno il potere L’arte tecnologica di ZONEGEMMA si
interroga su potenzialità e rischi dell'INGEGNERIA BIOGENETICA.
Stato del progetto: Il progetto è stato presentato il
2 ottobre 2004 in forma di studio teatrale con il
performer Andrea Cosentino al TEATRO VALLE di Roma quale
finalista tra 138 progetti presentati per il prestigioso Premio
“Dante Cappelletti”, indetto da Tuttoteatro.com in
collaborazione con l'Ente Teatrale Italiano, Assessorato alle
Politiche culturali del Comune di Roma. In questo caso il
mutante televenditore- teleimbonitore era dotato di una zampa di
cavallo nascosta sotto inizialmente la giacca e che magicamente
appariva per mostrare le virtù dei prodotti della GAF, la
multinazionale di prodotti transgenici di cui era anche
testimonial. La zampa creata dalla scultrice Elisa Nicolaci
con rete metallica e copertura di stoffa di velluto a
ricordare le nodosità della zampa equina, rendeva il personaggio
simile ai quei miti greci raffiguranti esseri metà uomo e metà
animale o ad alcuni personaggi dei film di Jean Cocteau. La
maschera di Cosentino, abile nell’accentuare caricature e
tipologie umane, era accompagnata dal lancio del sito
www.Gaf.com e di un video-spot in scena che mostrava alcuni
degli animali ormai diventati inutili e da “ritoccare
geneticamente”.
Video digitale con animazioni 3D (25’), soggetto,
sceneggiatura originale e regia video di Andrea Balzola,
regia sonora di Mauro Lupone, interprete Emanuela
Villagrossi già straordinaria attrice del gruppo Magazzini
di Federico Tiezzi e di Motus. Il suo volto androgino e la sua
straordinaria capacità attoriale di trasfigurarsi ha reso
possibile la definizione di un personaggio (quello del
televenditore) maschio e femmina, essere umano e animale, una
sorta di mutante nato per partenogenesi. Un trucco
particolarmente sofisticato, i pantacollant e il giubbetto in
ecopelle rosso che aderiva al suo corpo longilineo insieme con
stivali neri con zoccolo e gli studiati movimenti dei muscoli
del volto e la particolare camminata-cavalcata, la rendevano
simile a uno scattante puledro. L’altro personaggio in carne ed
ossa è la giornalista Tv aggiogata dagli animali modificati al
potere, interpretata da Chiara Pistoia, danzatrice e performer
toscana, per l’occasione rasata a zero e fornita di collare!
Paolo Giommarelli interpreta la parte del giornalista inviato
che intervista l'asino scettico. Le scenografie sono invece
animazioni in computer grafica 3D a cura di Andrea Brogi ; gli
animali saranno elaborati in 3D dai disegni a fumetti di Onofrio
Catacchio; composizioni ed elaborazioni sonore musicali e vocali
con morphing sonoro di Mauro Lupone. Inserti Video a cura di
Andrea Croci e Greta Sorana. Tra i materiali utilizzati,
filmati concessi dalla Lega Anti Vivisezione.
Albo a fumetti. Il volume è realizzato in
collaborazione con l'associazione Cut up (www.cut-up.net) casa
editrice specializzata in comics e LUCCA COMICS & GAMES. La
sceneggiatura è di Andrea Balzola in collaborazione con
Riccardo Pesce. L’albo di 48 tavole a due colori
accentuerà il rosso, colore del sangue, della rivolta, del
maiale Orwell e della veste del mutante. Il progetto insieme con
un “preview dell’albo” di sedici tavole disegnate da Armando
Rossi, sarà presentato a LUCCA COMICS 2005, al Museo del Fumetto
di Lucca. Nell’albo-anteprima sono inseriti anche alcuni testi
originali scritti appositamente per LA FATTORIA DEGLI ANORMALI
da artisti e studiosi internazionali tra cui i biologi Gianni
Tamino e Roberta Bartocci (collaboratrice LAV). La versione
definitiva vedrà come disegnatore Onofrio Catacchio, matita e
china storica di Frigidaire e illustratore di Carlo
Lucarelli (Coliandro) Wu Ming (La ballata del corazza).
www.onofriocatacchio.com
Sito web www.fattoriaorwell.org
Prevede un’interazione creativa con gli utenti ai quali viene
chiesta la collaborazione per realizzare animali anormali
attraverso ipotesi fantascientifiche di modificazioni del DNA,
mentre un team di disegnatori realizzerà personaggi e
animazioni. Una seconda interazione riguarda la possibilità di
essere informati sulle sperimentazioni dell'ingegneria
biogenetica. Sezione a cura del giornalista Fabio Nardini.
Spettacolo tecnoteatrale La fattoria degli anormali.
Un performer che impersona la figura di uno showman mutante
(androgino, metà uomo e metà equino) e utilizza la tecnica del
motion capture, dialoga in scena con vari personaggi animali
animati in 3D (con una nuova tecnica di proiezione in scena,
senza schermi) tra i quali alcuni realizzati dagli utenti del
web; chatta e fa compravendita di animali anormali in diretta
web. Tutto il sonoro dello spettacolo è elaborato digitalmente
con spazializzazione del suono e modificazioni di morphing
audio in tempo reale.
|
Una storia anormale
Intervista a Andrea Balzola su
"La f@ttoria degli anormali"
di Anna Maria Monteverdi |

Qual è il punto di contatto tra il romanzo di Orwell e la
storia da te immaginata, come hai pensato, cioè di attualizzarne
la trama?
Il progetto La fattoria degli anormali si ispira
molto liberamente al romanzo di Orwell, l’idea da cui nasce è la
risposta a questa domanda: qual è la fattoria degli animali del
presente e del prossimo futuro, nella quale Orwell – profeta di
sventure anche col Grande Fratello di 1984 – avrebbe
ambientato oggi il suo romanzo? La risposta è: una grande
azienda biotecnologica multinazionale che sperimenta e produce
ogm, vegetali, animali (e perché no, umani) proprietaria di un
network televisivo e di un portale web: la GAF (Genetical Animal
Farm). La rivolta degli animali in questo caso è motivata e
aggiornata dai più recenti e sofisticati abusi che il genere
umano infligge al mondo animale.
Come nel romanzo orwelliano, ma in modo completamente nuovo per
contesto, linguaggio, personaggi e sviluppo narrativo, la storia
è raccontata in chiave paradossale, con un humour nero surreale
ma non irreale che forse sarebbe piaciuto a Breton. E’ un
apologo satirico sulla tirannia di una multinazionale di
prodotti biogenetici che produce, alleva e tiene prigionieri in
una fattoria ipertecnologica animali di diverse specie
sottoposti a ogni genere di sperimentazione, soprattutto
riproduttiva (alcuni realmente prodotti dalla sperimentazione
biogenetica, altri immaginari come un bestiario fantagenetico):
si creano artificialmente animali clonati (pecore che hanno
tutte la stessa identità, metafora dell’”uomo-massa”), animali
transgenici (maiali con cuore umano che si innamorano
soltanto delle femmine umane), specie ibride (il gattotopo,
che ha problemi di schizofrenia), con caratteri più aggressivi
(il pit-bush, un cane apparentemente bonario che ha però
scatti incontrollati di ferocia), etc. La multinazionale, che
possiede anche un proprio network televisivo e un portale web,
fa televendita dei suoi prodotti, affidandola a un mutante (un
essere umano androgino, con geni e un arto equini), anche lui
transgenico. In lui s’incarnano le contraddizioni, i paradossi e
l’instabilità di una condizione ibrida, incompiuta e artefatta,
in cui sensibilità emotiva e programma genetico lottano fino
all’autodistruzione. Gli animali/anormali sono messi in vendita
per esperimenti (tipo vivisezione), a scopo alimentare (per
essere mangiati), a scopo decorativo-moda (per avere animali
domestici sempre nuovi e originali, allultima moda), per vari
servizi (animali spia, animali kamikaze). Questi animali, che
vivono ogni tipo di vessazioni fisiche ed emotive, di angosce
psico-esistenziali, si organizzano e attivano una rivolta contro
la multinazionale, si impossessano della fattoria tecnologica,
del network TV, del portale web, facendo prigionieri anche il
televenditore mutante, e una giormalista. Poi prevalgono gli
animali più aggressivi, i maiali transgenici, con cuore, fegato,
reni umani, e impongono la loro dittatura, guidata dal più
grosso e spietato di loro: Orwell. Via via assomigliano sempre
più agli uomini, si erigono su due zampe, si vestono e si
comportano come uomini di potere, sfruttando crudelmente i loro
ex simili, gli animali non transgenici, li vendono agli uomini o
li uccidono per commerciarne la carne, o li sterminano come
“pulizia etnica”. Il mutante, che è sempre stato asservito,
prima dagli esseri umani e poi dalla dittatura dei maiali
transgenici, scoprendo la spietatezza dei nuovi esseri ha infine
uno scatto di follia e di orgoglio, si rivolta ed è ucciso in
diretta televisiva. Testimone di tutto, scettico e disincantato,
anarchico e irriverente, è un asino, che rappresenta
l’indipendenza del pensiero, il valore della memoria e di
un’identità ben radicata nelle sue radici naturali e culturali.

Come nel romanzo di Orwell, il senso della trama ha perciò
una doppia lettura, che non si limita alla questione
animalista...
Il romanzo di Orwell estrapolato dalla sua più mirata
specificità storica, mantiene ancor oggi una duplice attualità:
l’assunzione del punto di vista degli animali con la
conseguente critica alla crudeltà e al cinismo ai quali gli
esseri umani li sottopongono, e una critica spietata alla
strumentalizzazione ideologica delle coscienze che tende a
sfruttare legittime aspirazioni collettive di libertà e
benessere piegandole ai fini del potere di singoli individui o
di piccoli gruppi-lobbies. Oggi, il totalitarismo ha cambiato
volto, non ha più quello barbaro e sanguinario dei dittatori del
XX secolo (almeno in Europa), ma è più sofisticato e più
ipocrita, più anonimo e più capillare, più seduttivo e più
penetrante. E’ molto difficile difendersene. Oggi noi viviamo in
due regimi totalitari, uno in atto e un altro in pectore. Il
primo è la dittatura del mercato, (più in generale l’interesse
economico che diventa prioritario in tutti gli ambiti
dell’esistenza) un fenomeno globalizzante – perché parte dai
paesi cosiddetti avanzati ma raggiunge tutte le aree del pianeta
– sostenuto dai media, sempre meno strumenti di informazione e
sempre più strumenti di orientamento del “consumo” collettivo,
sia di beni materiali sia di beni immateriali (il gusto, le
tendenze, le idee...). La seconda dittatura che si va affermando
è quella dell’innovazione tecnologica, nel momento in cui lo
sviluppo tecnologico non si fonda più sulle esigenze collettive
ma le crea, diventando un valore autoreferenziale. Il connubio
tra dittatura del mercato, promulgata dai media, primato dello
sviluppo tecnologico e una particolare interpretazione dello
sviluppo scientifico – potremmo definirla una corrente
scientifica assolutista – che affida unicamente alla
combinazione scienza-tecnologia la ricerca di una risposta ai
grandi misteri dell’esistenza: malattia/benessere,
sessualità/desiderio, vecchiaia/longevità, morte/nascita,
determina il rischio di un regime autoritario globale, dove
all’etica delle possibilità che dovrebbe governare l’evoluzione
umana si sostituisce una politica delle certezze.
La biotecnologia e la biogenetica sono i veri motivi
dominanti del progetto. Qual è la vostra posizione
in merito alle sperimentazioni dell'ingegneria genetica?
Una delle questioni più controverse e complesse del
dibattito scientifico ed etico contemporaneo riguarda proprio la
ricerca biotecnologica, che come mai in passato tocca i
fondamenti stessi della vita e dove non a caso s’intrecciano
enormi interessi economici (delle multinazionali farmaceutiche,
dei grandi centri di ricerca, delle nuove multinazionali
specializzate in ogm), priorità dell’investimento tecnologico
(la disponibilità e l’innovazione tecnologica costituiscono la
discriminante per il raggiungimento dell’obiettivo
“scientifico”) e certezza sulla possibilità che la scienza sia
in grado di rimediare tutti gli “errori” o le “incompiutezze”
della natura. La realizzazione dell’ambizioso progetto di
mappatura genetica integrale dell’uomo (il progetto “Genoma
umano”), a detta degli stessi scienziati (mi riferisco per
esempio ai testi di Gianni Tamino e di Roberta Bartocci che
pubblichiamo nella brochure del progetto) non autorizza
automaticamente a pensare di poter gestire secondo una moderna
“ars combinatoria” il patrimonio genetico degli esseri viventi,
manipolandolo per orientarlo alla “perfezione”. Infatti, senza
evocare i fantasmi dell’eugenetica, non è difficile prendere
atto, nello stesso ambiente scientifico e perfino da parte dei
fautori della biogenetica, che, come dice Dulbecco, “inserendo
un gene estraneo in un organismo possiamo sì ottenere
l'espressione di quel gene ma possiamo determinare l'alterazione
dell'espressione di un grande numero di altri geni. Ma non
sappiamo assolutamente né quali geni alterano né quando avranno
questa alterazione né quando si verificheranno problemi per
l'organismo". Come suggerisce Gianni Tamino, la sperimentazione
biogenetica avviene ancora al buio perché non ne conosciamo la
sintassi. E’ pertanto necessario garantire la libertà della
ricerca scientifica, ma ancorandola a una riflessione etica
collettiva ed evitando che sia guidata e gestita da interessi
speculativi e commerciali, la posta in gioco è troppo alta e
troppo complessa per abbandonarla alla deriva del liberismo
ideologico ed economico.I
Esiste un mercato per progetti crossmediali così innovativi
come Fattoria?
La fattoria degli anormali è stato pensato per diversi
“luoghi” e “contesti” artistici (Festival video e teatrali;
distribuzione televisiva indipendente, mostre mercato del
fumetto) proprio per rivendicare un'idea di multimedialità non
limitata alla ricerca artistica ma estesa anche alla produzione
più popolare (video-tv, comic art, net art).
|
|


Rischi e potenzialità della
biogenetica
Sul progetto "La f@ttoria degli
anormali"
di Gianni Tamino
|
In cinquant'anni si è fatto poco o niente per prevenire le
cause, soprattutto ambientali, ben note a livello scientifico
internazionale, che hanno portato all’attuale sviluppo di tumori
e di altre malattie degenerative. In pratica si sono investiti
molti soldi per le cure ma poco per la prevenzione.
Contemporaneamente c'è stato un grande sviluppo delle ricerche
di biologia e di genetica molecolare. Da cinquant'anni, infatti,
conosciamo la struttura del DNA: negli anni ‘70 abbiamo capito
non solo come funziona, come e dove sono localizzati i geni,
quale è il loro meccanismo, come funzionano, ma anche che il DNA
è come un libro scritto o, se preferiamo, come una sequenza di
una bobina registrata o come un cd. Il DNA è analogo, dal punto
di vista logico, a una memoria che contiene un' informazione, e
deve essere scritta con un alfabeto, che a sua volta deve avere
un vocabolario, una grammatica e una sintassi. Negli anni ‘50
abbiamo scoperto il supporto materiale di questa memoria, negli
anni ‘60 abbiamo individuato l'alfabeto e il vocabolario, negli
anni ‘70 abbiamo intuito parte della grammatica. Così abbiamo
capito come modificare l'informazione genetica, attraverso un
“copia, taglia e incolla”, analogo a quello che si utilizza nei
sistemi di scrittura del computer. Grazie a sistemi enzimatici
che tagliano porzioni di DNA è possibile prelevare geni e
metterli in un altro organismo, ottenendo gli OGM (organismi
geneticamente modificati). Abbiamo modificato piante e animali e
potremmo modificare perfino gli uomini o fare modifiche di
cellule umane per terapie geniche.
Per questo è sorto 15 anni fa il progetto Genoma Umano,
progetto che aveva come obiettivo la decifrazione di tutta la
sequenza del DNA della specie “uomo”. Ma non è stato il
Consorzio pubblico, creato attorno al Progetto, a raggiungere
per primo tale obiettivo, bensì un Ente privato, il cui
titolare, Craig Venter, aveva fatto parte del Consorzio
pubblico, ne era uscito ed aveva messo in piedi una
organizzazione tipo onlus. Quindi con le conoscenze e i lavori
fatti e finanziati dal settore pubblico e con i soldi raccolti
con la onlus Craig Venter, chiusa la onlus, ha aperto una
Azienda privata e, dopo aver fatto un accordo con la
Perkin-Elmer, ditta di apparecchi scientifici, e con una azienda
leader nel settore dei computer, è riuscito a scavalcare il
settore pubblico e ad arrivare alla decifrazione della sequenza
del DNA umano. Per fare cosa? Conoscere il genoma è una parte
molto limitata di quello che dovremmo conoscere per prevenire e
curare malattie, ma conoscere la sequenza del DNA significa
poter chiedere il brevetto sui geni contenuti. Si capisce perché
Venter è passato da una onlus non governativa a una società
privata con scopo di lucro: la possibilità di brevettare i geni
offre notevoli prospettive di profitto. Infatti dal 1980 negli
Usa e dal 1998 in Unione Europa è possibile brevettare geni,
cellule, tessuti di qualunque organismo, uomo compreso, oltre
agli OGM.
Ma in tal modo quando si va a fare un'analisi del sangue o delle
urine, o di qualunque altro tipo dove ci siano cellule con
materiale genetico, qualcuno potrebbe brevettare i nostri geni.
Se vengono individuate caratteristiche particolari, è possibile
chiedere per le cellule e i geni il brevetto. Per farne che? O
realizzare test genetici oppure utilizzare un gene per una
terapia medica o, eventualmente, nel futuro, per avere cellule
staminali potenziate o addirittura per modificare con geni umani
animali da utilizzare in xenotrapianti (cioè trapianti su uomo
di organi di maiali o altri animali), ipotesi per fortuna quasi
totalmente abbandonata, dati i gravi rischi di infezioni virali
che comporta.
Questa logica commerciale intorno al genoma umano è funzionale
alle case farmaceutiche, che con i brevetti pensano di
controllare e sfruttare queste ricerche.
Ma oltre all’aspetto commerciale ci sono i rischi collegati a
tali attività. Noi conosciamo, come già detto, la struttura,
l'alfabeto, il dizionario e parte della grammatica del DNA, ma
non la sintassi, cioè non conosciamo le connessioni, le
relazioni tra i vari geni. Inseriamo negli organismi singoli
geni, ignorando casa succederà agli altri geni già presenti:
significa che agiamo secondo una logica riduzionista che
qualunque biologo sa essere sbagliata. Il più grande fautore del
progetto "Genoma Umano", Dulbecco, ha dichiarato (intervista a
Repubblica del 22/11/2002):
“introducendo un nuovo gene in una cellula, la funzione di un
gran numero di altri geni viene alterata: non è sufficiente
introdurre un gene nell'organismo per determinarne l'effetto,
che invece dipende da quali altri geni sono già presenti.”
Inoltre non sappiamo né quali geni né quando saranno alterati.
In pratica agiamo al buio perché, se non conosciamo la sintassi,
è come prendere una parola staccandola da un libro per metterla
in un altro. Ma questa parola, cambiato il contesto, può
cambiare significato. Ed è quello che può succedere quando non
conosciamo le regole sintattiche. In pratica quando spostiamo i
geni non possiamo sapere cosa succederà.
Abbiamo scoperto che un solo gene può modificare una quantità
enorme di caratteristiche di un organismo: ad esempio un solo
gene modificato di un crostaceo, lo fa assomigliare ad un
insetto. Chi opera in questo settore dogmaticamente (e ”dogma
centrale della biologia” fu chiamata questa impostazione), pensa
che a ogni gene corrisponda una proteina a cui si fa
corrispondere una precisa funzione. Ma non è così: sicuramente
da un gene deriva una proteina ma non necessariamente una sola e
il gene funziona solo se interagisce con altri geni. Ogni
proteina a sua volta può innescare reazioni che fanno bloccare e
sbloccare altri geni. E' una rete di relazioni complessa. Ora
pensare di risolvere un problema complesso spostando solo un
gene è come ritenere di migliorare un libro o una sinfonia
inserendo a caso una parola o una nota, lasciando il resto
inalterato. E non si può certo pretendere di essere l’autore del
nuovo testo e tanto meno chiedere il diritto d'autore, anzi si
tratterebbe di plagio, un reato.Invece a livello di biologia
molecolare si può brevettare il gene utilizzato e l'organismo
così ottenuto, anche se il gene è preesistente.
Ma tornando alla logica riduzionista di “un gene, una proteina
ed un carattere”, consideriamo lo sviluppo embrionale, a partire
da una cellula uovo fecondata. Al momento della fecondazione
l'uovo si divide in due, ma se queste due cellule rimangono
unite danno origine a un embrione, mentre se vengono separate
danno origine a due uova e quindi a due embrioni. Ciò significa
che i geni funzionano sulla base di precise informazioni
ambientali: l'informazione cellule unite o cellule separate
cambia il programma di sviluppo. Così ogni cellula di un
individuo ha la stessa informazione genetica di qualunque altra,
ma per il fatto di trovarsi in un preciso contesto spaziale e
temporale la porterà ad utilizzare solo una piccola parte dei
geni disponibili, cioè quelli specifici di quel tessuto in quel
momento. Durante la vita degli organismi varia l'utilizzo dei
geni, che vengono attivati e disattivati in funzione dello stato
di sviluppo, come dalla pubertà alla vecchiaia: diverse sono le
caratteristiche perché diversi sono i geni utilizzati e
soprattutto le loro relazioni. Questo spiega perché tra un topo
e l' uomo ci sono più del 90% di geni identici, ma non sono i
geni che distinguono l'uomo dal topo, ma l'organizzazione,
l'utilizzazione e la relazione tra i geni. Non cogliere questo
aspetto significa non sapere cosa sia la biologia. L’attività di
un gene dipende dalle stimolazioni che vengono dall'ambiente
esterno e dall'ambiente interno all'organismo, in quel
particolare stadio di sviluppo. Questa relazione complessa è
proprio quella interconnesione (o rete, o sintassi) tra geni che
oggi non conosciamo; non è detto che in futuro non la
consoceremo, anzi noi biologi speriamo , attraverso la ricerca,
di aprire gli orizzonti e mettere in discussione le cose
precedenti. Il famoso dogma della biologia (DNA messaggero - una
proteina un carattere) e il flusso unidirezionale da DNA a
proteine non vengono più considerati dogmi, anzi non ci sono
dogmi nel mondo scientifico: qualunque ipotesi deve essere
sottoposta a verifica. A 50 anni dalla scoperta del DNA
conosciamo moltissimi aspetti della biologia molecolare, ma più
conosciamo più ci rendiamo conto di essere ignoranti. Perché più
si allarga la nostra capacità di visione più si allarga
l'orizzonte e più si rende conto di non conoscere. Solo chi
crede nei dogmi è convinto di avere la verità. Più si conosce
più si è coscienti di essere ignoranti, nel senso che è molto di
più ciò che ignoriamo rispetto a ciò che conosciamo.
Ed è giusto che sia così, altrimenti non avrebbe senso la
ricerca.
|
|

Alienazione umana e sofferenza
animale
Sul progetto "La f@ttoria degli
anormali"
di Roberta Bartocci |
Roberta Bartocci è biologa
e collaboratrice della Lega Antivivisezione.

“Tutti gli animali sono uguali ma alcuni animali sono più
uguali degli altri”, non è solo la più emblematica frase del
romanzo di Orwell, ma sembra essere anche il parametro
dell’approccio riduzionista della scienza attuale, quello che
vede negli organismi viventi il mero prodotto di un insieme di
geni.
L’animale uomo ha nel tempo utilizzato e asservito gli altri
animali ed altri esseri viventi a sé, pensandoli in chiave di
utilità e potenziale beneficio alla specie umana, mentre ciò che
all’uomo non serve non ha senso di esistere. Homo sapiens
esercita il suo potere controllando la vita degli altri animali
rinchiudendoli in zoo, circhi, laboratori e allevamenti e
sfruttandoli a suo piacimento; considerandoli cibo,
abbigliamento, strumenti di ricerca scientifica o altro. Negli
ultimi decenni questo controllo si è andato raffinando e
specializzando, fino a giungere alla gestione della vita di
animali e piante, arrivando a manipolare la loro essenza
biologica: il materiale genetico.
Le applicazioni della manipolazione genetica hanno portato in
certi casi ad indubbi vantaggi, come nel caso della produzione
di insulina, non più estratta da animali, come un tempo, ma ora
fatta produrre da microrganismi. In molte altre applicazioni
invece, i vantaggi ottenuti sono solo in termini di profitto per
pochi ed ottenuti con l’elevatissimo prezzo della sofferenza e
morte di esseri senzienti.
La manipolazione genetica consiste nel modificare
l’informazione che stabilisce le caratteristiche di ogni
organismo vivente attraverso l’eliminazione, l’aggiunta o lo
scambio di geni, le unità funzionali del materiale genetico.
Si possono così produrre topi diabetici e ratti obesi, per lo
studio di diabete e obesità umane; oppure suini con modifiche
che consentirebbero di creare fabbriche di organi per i
trapianti umani. Ratti e topi, molti dei quali geneticamente
modificati, sono gli animali più utilizzati nella ricerca,
considerati come “modelli sperimentali” dell’uomo, data la loro
somiglianza genetica con esso. In realtà questi animali sono
così diffusamente impiegati (ca 90% del totale delle specie)
perché maneggevoli, data la loro piccola taglia; poco costosi,
rispetto a cani e scimmie per esempio; estremamente prolifici,
cosa che consente di lavorare più velocemente, producendo un
buon numero di pubblicazioni in tempi relativamente brevi e
quindi facendo carriera piuttosto rapidamente; infine, topi e
ratti non godono della simpatia dell’opinione pubblica, il che
affranca i ricercatori da eventuali scrupoli di tipo etico nella
loro utilizzazione.
Quando non si interviene in modo così invasivo sull’organismo
vivente, ovvero manipolandone i suoi geni, si operano delle
selezioni per ottenere questo o quell’altro carattere
desiderato. Con la selezione genetica Homo sapiens si
sostituisce alla natura operando una pressione selettiva
artificiale in una direzione voluta, all’interno di un ambiente
confinato e controllato. Con questa tecnica sono stati ottenuti
diversi “prodotti”: dai polli e tacchini dal petto gigante,
pensato per soddisfare le tasche degli avicoltori e la gola dei
consumatori, alle abnormi produzioni di latte da parte di mucche
selezionate che arrivano a produrre fino a 60 litri al giorno
quando in natura produrrebbero appena un terzo di questa
quantità, alle galline selezionate per non produrre penne, in
modo tale che tutte le proteine risparmiate siano impiegate
nella produzione di uova, ai pulcini maschi caratterizzati da
una particolare forma dell’ala per essere distinguibili dalle
femmine appena dopo la schiusa. In natura non ci sarebbe spazio
per questi animali: polli e tacchini dal petto gigante non è
raro che abbiano le zampe spezzate dal loro stesso peso
innaturalmente distribuito nella parte anteriore del corpo che
non consente loro neanche di accoppiarsi; in natura le mucche,
così come tutti gli altri mammiferi, produrrebbero solo la
quantità di latte necessaria al fabbisogno del cucciolo e
comunque solo al momento del parto, mentre all’interno di un
allevamento la loro lattazione è stimolata e sfruttata al
massimo per destinare il latte al consumo umano, mentre i
vitellini vengono prematuramente separati dalla loro mamma,
nutriti e ingrassati con pasti artificiali e mandati al macello
ancora cuccioli; i pulcini maschi delle galline ovaiole,
considerati inadatti alla produzione di carne, devono essere
buttati via, ma appena sgusciati maschi e femmine sono
irriconoscibili. Alcuni scienziati hanno quindi introdotto una
mutazione genetica che rende i maschi di gallina ovaiola
distinguibili dalle femmine per una tipica forma delle ali: in
questo modo è possibile separare maschi e femmine alla nascita,
inviando le ultime agli allevamenti per la produzione di uova
mentre i primi vengono praticamente frullati vivi appena dopo la
schiusa e poi smaltiti.
Solo in Italia, ogni anno, vengono uccisi a scopo di ricerca
circa un milione di animali, mentre è nell’ordine dei miliardi
il numero di quelli uccisi a scopo alimentare (ca 600 milioni di
animali terrestri, alcuni miliardi quelli acquatici). Mentre nei
paesi industrializzati si mira all’incremento della produttività
negli allevamenti intensivi, nei paesi poveri centinaia di
milioni di persone soffrono la fame: buona parte dei raccolti
viene destinata all’alimentazione degli animali allevati in
occidente anziché sfamare le popolazioni locali. Mentre si cerca
di produrre il modello animale che riproduca più fedelmente una
patologia umana, ma che ad essa non potrà mai essere uguale, non
fanno che aumentare i decessi per cancro e malattie
cardiovascolari, più facilmente arginabili con adeguati
programmi di prevenzione. Alienazione umana e sofferenza animale
vanno di pari passo.
Allevamenti intensivi e laboratori di ricerca sono luoghi
asettici e gli animali ivi ospitati, sono progettati per vivere
all’interno di essi, e solo all’interno di essi, resi inetti
alla loro natura, impossibilitati a vivere liberi anche se
potessero. La logica riduzionista ignora che un organismo sia il
complesso risultato tra geni e ambiente, per non parlare poi
della sfera psichica di ogni singolo individuo, ed è la palestra
ideale dell’ approccio positivista dell’uomo occidentale, ovvero
della convinzione che esso debba e sia assolutamente in grado di
dominare la natura.
Lo slogan orwelliano, con la sua grottesca contraddittorietà, se
sganciato dalla sua originaria accezione socio – politica e
riconsiderato in chiave bioetica, diviene un’inquietante
paradigma del quotidiano sfruttamento degli animali nei
laboratori di vivisezione e negli allevamenti: si considerano
gli animali non umani a noi uguali quando si tratta di
impiegarli come strumenti di ricerca da cui ottenere benefici
per la salute umana, e invece diversi, ovvero “inferiori”
all’uomo e in quanto tali incapaci di soffrire e indegni di
rispetto, quando li si considera cibo o quando si tratta di
attribuire loro dei diritti.
Il controllo genetico degli animali, inteso sia come
manipolazione del loro materiale genetico che come selezione di
caratteri per l’ottenimento di benefici umani, è il più fine ed
elaborato dei maltrattamenti, che richiede competenze specifiche
da parte di chi lo opera e che viene consumato nel segreto di
laboratori e allevamenti. E’ l’apice del dominio sulla natura da
parte dell’uomo, il quale tiene in mano la vita di altri esseri
progettandola e modificandola come egli crede e fa parte
integrante di una società in cui l’alienazione è un normale modo
di essere, in cui non c’è spazio per i non umani se non pensati
e progettati in chiave antropomorfica e o antropocentrica. Esso
celebra il trionfo dell’omologazione e dell’appiattimento,
annullando ciò che è alla base della vita: la diversità, sulla
quale si giocano invece i meccanismi dell’evoluzione, e così si
esorcizza la paura del diverso, nella fattispecie, l’animale non
umano.
Mohandas Gandhi suggeriva: “sii il cambiamento che vuoi
vedere nella società”. Facendo tesoro delle parole di un
uomo eccezionale e tenendo conto del fatto che l’opinione
pubblica ha più volte manifestato il proprio dissenso nei
confronti della manipolazione genetica degli animali, ogni
cittadino che dissenta dallo sfruttamento di essere senzienti
può cercare di cambiare le cose attraverso le proprie scelte,
dagli acquisti in profumeria o al supermercato alla
riconsiderazione della scienza cui andrebbe restituito il suo
vero ruolo. Ad essa infatti non si deve chiedere ciò che non può
e non deve dare e che invece ci si illude che possa fornire:
attraverso di essa si producono informazioni che sono
l’interpretazione di fenomeni naturali, non si ottengono verità
assolute, come nel caso della religione. Il fatto di chiedere
alla scienza di produrre verità assolute conferisce a quegli
scienziati che oliano tale meccanismo un grande potere e
l’impiego di animali come strumenti di ricerca ed il loro
controllo genetico sono figli di questa logica scientista più
che scientifica. Iniziando col riconsiderare il significato
della vera scienza ed il suo ruolo nella società e scegliendo
consapevolmente ciò che si indossa o si mangia, è possibile
davvero incarnare il cambiamento che si vorrebbe vedere nella
società. |
Scarica il documento del progetto
Fattoria_degli_Anormali.pdf
Progetto del fumetto
Progetto del sito
Progetto del video
|