- POESIA versi 2004-2006 | ||||||||||
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Poesia erotica contemporanea | |
POESIA EROTICA CONTEMPORANEA (un’antologia), ATI – Alta Tensione editore(sezione a cura di Mariella De Santis, redazione rivista “Monte analogo”)
Andrea BalzolaEROPOESIE (10 poesie erotiche ( 2006 ))con nota biografica
Ero sognante
Ero sognante ante ogni eros ero soavemente sapidamente inerme dinnanzi al pub di Venere alla soglia più sottile e più fonda fra in e out fra ante e post fra l’ardire e il tradire esotiche e rosee epidermidi incorruttibili
Il fuoco
si sa nacque il fuoco che acqua non spegne Cosa attizzò la vasta umanità? Braci di notti estinte che plasmarono argille e tramontane che soffiarono sul fuoco per cavarne facce di cuori sorrisi di quadri ritmi intermittenti respiri che popolarono il pianeta di attimi fuggenti e schiere di bastoni e spade
Languida
Languida mente s’insinua lingua che lenta mente ti esplora Avida mente smuove lembi di pudore saliva sentieri impervi tremiti lasciando ondate di onde lente crescono lentamente saliva tracce oscure fremiti lasciando ovunque espande cresce irreparabilmente lingua che infine divora l’ora delle ore
Rabbrividente |
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Per Gino Gorza | |
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Andrea Balzola due poesie "Passaggi" | |
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LUOGHI (versi inediti 1989-2003) | |
Andrea Balzola LUOGHI (versi inediti 1989-2003) Praga 1989, Lisbona 1994, Torre Pellice 1995, Roma 1996, Sarajevo 1996, Carrara 1997, Parigi 1999, Torino 2003.
Praga (1989)
avvolge il collo liberty intorno al vibrato più lontano di questo diapason Oppure il volto biondo che s’annuncia alla Moldava sottovoce dalla cornice di un’icona Inebetito dall’andare che si ripete e non si ritrova perdo subito le tracce di quelle trecce Per breve gioco di monete e aritmetiche infedeli ho confuso finalmente il passo con il verso sul dorso della via dell’oro
Lisbona (1994)
arrancando salite scoscese di ceramiche azzurre e acciottolati e baffi neri e perenne odor di griglie roventi e venti di nuvole grandi sempre più grandi del cielo Fummo subito affacciati ai leoni di ferro arrugginito davanti al sorriso di Nostra Senora del Rosario con la sua piuma bianca e l'abito barocco senza strascico però attillato e umile nella via stretta senz'oro e senz'argento via dei panni bianchi a vela Stanchi del viaggio non ancora di abbracci già suonavano le note del Fado che si sa è il canto della distanza Fu in un appuntamento non preso che apparve il teatro metafisico di danze stralunate e voci indimenticate Fu la ventosa notte dissolta in Dixieland e taxi sincopato L’ultima alba sbandammo tra S.Geronimo e la torre di Belem, Belem, Belem incagliata in glorie lontane e ingorghi di turisti fin dall'epoca manuelita coloni incolonnati dal tempo
Torre Pellice (1995)
Che rapporto c’è tra una torre e un fiume? Il Pellice che s’allarga e si svuota come un torrente inquieto che scende malvolentieri di quota Torre svanita Fatta forse di leggenda Rimangono invece gli assediati sulla difensiva ad accogliere gli stranieri con occhiate sghembe pronti a far cerchio intorno al monumento di Pietro Valdo eretico eroe precursore della Riforma marcando con la erre tipica il territorio Boschi corteggiati senza tregua dalla pioggia perciò più verdi dei verdi dei pittori che s’accaniscono a dipingerli Si trovano strani funghi che somigliano a elfi antichi mummificati Nascosti in anfratti e grotte talvolta spudorati si esibiscono tra l’erba dei prati Una natura così forte s’inerpica fino alla roccia e al ghiaccio per scavalcare il confine del colle della Croce sentieri partigiani e montanari che vegliano dall’alto la piccola preziosa valle chiusa Dove molti talenti si rifugiano e accanto ai camini infuocati assopiscono per non disturbare e non esser disturbati
Roma (febbraio 1996)
attraverso i ponti attraverso i ponti del tempo che la città terrestre di AMOR che la città delle città del tempo ha gettato nel vuoto saturo della natura sullo specchio nomade del sole mediterraneo Sul ponte che attraverso invisibile sensibile come l'aria il soffio il vento che porto o che mi porta a questa soglia E guardo l'acqua infuocata la lava colata dal sole in terra madre tra le mura più antiche tra le mura rossarancio all'ombra degli ombrelli dei pini e delle palme che danzano come esotiche amanti Vedo l'uccello nero eretto sull'acqua infuocata le ali sospese nell'aria antica Fermo nel controluce Vedo la Fenice risorgere dal fuoco con le ali aperte ad abbracciare l'aria antica vibrante nell'annuncio indecifrabile di un volo nuovo Lo vedo ora sfiorare il fiume d'oro con le ali tese e la direzione del sole lo vedo volare dove volare si vuole
Welcome to Sarajevo (marzo 96)
del monte ghiacciato nella bufera di neve di vento di volti dispersi nel bianco nell'opaco sordo passo inesausto dal meno al niente tra i tronchi spezzati dai fulmini umani tra semine di crateri e braci campi arati dall'era finale del metallo Dall'alto appari Bianca nel bianco invisibile quasi miraggio e bersaglio lontana come un'isola pietrificata senza cielo e senza terra Sola e pallida come già morta Sfatta Insepolta Ma il tuo silenzio chiama e da vicino respiri Ancora L'attesa è immobile alle tue porte sbarrate e cingolate a vedere i bambini giocare alla guerra nella neve ancora rossa a vedere gli uccelli volare dagli innumeri nidi scavati dai mortai sulla fronte delle case Confondendo eliche d'elicotteri con ali di corvi che annunciano : "Welcome to Sarajevo" Costeggiando le trincee della paura le voragini delle strade i tunnel dei dannati vengo al tuo cuore d'acqua che l'apocalisse non ha dissuaso dalla sua corsa senza meta Lì si affacciano i templi della discordia come se lo spirito fosse divisibile da un dio armato dimentico di sé‚ e d'esser divino unico e universale Lì si affaccia il tempio delle parole dei millenni bruciate in un istante che il fumo porterà in altri cieli dove si leggeranno le pagine fantasma dell'umanità cancellata Ora soltanto un cane nero corre dentro al guscio vuoto sembra pazzo senza padrone e senza direzione corre e corre da nessuna parte Eppure nella tua siderale lontananza dal mondo infranta in tutte le finestre della tua anima splendi ancora Negli occhi degli angeli senz'ali che non ti hanno lasciato Negli occhi inquieti che hanno oltrepassato il confine del dolore e guardano ora per sempre altrove Nel sorriso strano che è forse il nome innominato della sapienza più antica
Carrara (1997)
Innanzi tutto le montagne ferite squarciate alla bianca luce troppo vicine al mare per evitare cieli di lacrime ed ire improvvise Inondando di grazie di marmo sorrisi pietrificati l'intero altro mondo intorno Scavati volti incavati silenzi ricavati doni a rompicollo esplosi e strappati rubati e discesi per lapidi domestiche o trionfi imperiali Alla libertà di statue senza Stato i tuoi cavatori accendevano fuochi rossi e neri Ora il buio cala senz'acuti e senza odor di vino Solo i cani ovunque taciturni e assonnati rimangono a guardare quel che non si è più visto
Parigi (1999)
Sua Grandeur la città fredda maestoso salotto borghese en plein air Sottoterra sfrecciano i volti cupi e veri di chi non ha tempo e voglia di buone maniere Tricolori luci da ribalta e ostentati ori maquillage sempre perfetto con la sola capigliatura di nuvole perennemente scompigliata dal vento atlantico Un congegno cartesiano dentro il cerchio di fuoco della Banlieau Bella e antipatica come la gentilezza snob delle tue dame La capitale degli specchi e di Narciso è viva ancora per grazia ricevuta degli assalti d’Africa e d’ogni dove che tingono il grigio argento di colori e odori di voci e sapori Sempre Parigi vanta onori d’importazione E con il suo accentar tronco qualsiasi nome mette tutto e tutti nella sua cassa Che tutto il meglio è stato e sarà francese
Torino (2003) (Dedicato a Edoardo, il figlio suicida di Giovanni Agnelli)
Tori no a Torino Nemmeno toreri Città composta di scudi e stemmi logge loghi emblemi Barocco sobrio e militare di rocce e cime bianche contraltare Liberty fino di palato parigino La maschera dei torinesi è un sorriso di cioccolato fondente amaro da spaccarti il dente Capitale di un regno piccolo piccolo come la statura dei suoi regnanti che lasciarono come eredi intelligenti motori dinamo dei cuori degli ultimi principi sabaudi Prima fiat dux poi lux che attirava affamati e bruciava le loro ali per poche lire al Lingotto e a Mirafiori s’infornavano migranti extracomunitari degli anni cinquanta nostalgia di terre avare, di mare di calore familiare Operai non più caporali che volevano fabbricare per sé e per gli altri un futuro migliore A resistere al monopolio industriale pochi intelligenti autori artisti poveri e minori non per estro ma per clamore Ovunque ancora aleggiano fantasmi di sogni inespressi di desideri incompiuti Già un Salgari precursore vaneggiava malesie tra le nebbie febbre solitaria suicida per harakiri Tanti santi e laici di morte precoce nel conformismo pallido talvolta feroce dei padri regnanti verso figli in fuga troppo deboli per essere ribelli o semplicemente sopravvivere da agnelli Urbe seducente per l’esercizio geometrico del passeggio e della mente cuori congelati dal freddo e dalla mancanza di coraggio a ogni tentativo un dazio ogni fessura scambiata per ferita strazio Le maglie bianconere ricordano sbarre più che zebre aristocratica claustrofobia snobismo collinare Eppure l’iniziale energia di molteplici invenzioni è sorta a riva del Po innaffiata di preziosi distillati rubino e argento Utopie ragionate e platoniche conversazioni hanno smosso la storia ma non la città dell’automobile della buona pasticceria del destino immobile
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